Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier febbraio - marzo 2007

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nei mesi di febbraio e marzo registra 5 nuovi casi: 2 suicidi e 3 morti per malattia.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Angelo, detenuto italiano

20 anni

06 febbraio 2007

Suicidio

Reggio Calabria

Driss Kermadi

25 anni

06 aprile 2007

Suicidio

Modena

Antonino M.

43 anni

07 marzo 2007

Malattia

Opg Aversa (CE)

Francesco Madonia

83 anni

13 marzo 2007

Malattia

Napoli

Paolo, detenuto rumeno

22 anni

23 marzo 2007

Malattia

Regina Coeli (RM)

 

Suicidio: 06 febbraio 2007, Carcere di Reggio Calabria

 

Angelo, un detenuto 20enne di origini campane si suicida con il gas nelle carceri di via San Pietro, nel pomeriggio di martedì. Dalla prima ricostruzione dei fatti sembrerebbe che il giovane, avrebbe utilizzato il tubo di alimentazione di un fornellino da cucina che, comunemente, i detenuti utilizzano nelle proprie celle per prepararsi il pranzo quando non si recano alla mensa dell’istituto di pena. Inutili sono stati i tentativi di soccorso degli agenti della polizia penitenziaria e dagli altri detenuti. Il giovane è stato immediatamente trasportato con un’ambulanza della Confraternita della Misericordia. (Quotidiano di Calabria, 8 febbraio 2007)

Io lo conoscevo, si chiamava Angelo, aveva iniziato un percorso di recupero per tossicodipendenti presso una comunità terapeutica di Reggio Calabria, ma purtroppo il giudice ha deciso di rimandarlo in carcere invece di fargli continuare il suo percorso, così dopo un giorno di carcere Angelo si è tolto la vita… aveva 20 anni. (Mail di A.C., ricevuta da Ristretti Orizzonti).

 

Suicidio: 6 marzo 2007, Carcere di Modena

 

Driss Kermadi, detenuto marocchino di 25 anni, si uccide infilando la testa in un sacchetto di plastica riempito di gas: era detenuto al Sant’Anna da qualche mese, per furto. Il fatto è accaduto durante l’ora d’aria, che va dall’una alle due e trenta, durante la quale i detenuti possono uscire nel cortile del carcere o decidere di rimanere in cella.

Pare che il giovane - alcolista in cura per disintossicarsi - abbia chiesto di rimanere in cella e che, una volta solo, abbia cominciato la pratica di sniffo, forse abituale. Non si sa, infatti, se l’accaduto sia stato un tentativo di suicidio o se la dose di gas fuoriuscita dalla bomboletta sia stata eccessiva solo per caso, ma certamente pochi minuti sono stati fatali al giovane nord-africano che è morto, rovesciandosi a terra con la busta ancora stretta intorno al collo.

Gli agenti in servizio sono immediatamente intervenuti tentando di rianimarlo e chiamando contemporaneamente i soccorsi. Il giovane, però, era già morto e non c’è stato modo di salvarlo nemmeno con le tecniche di rianimazione. Al carcere, immediatamente allertate, sono arrivate, poco dopo le 14, le ambulanze che non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. La prassi dello sniffo con il gas sembra essere, all’interno del Sant’Anna, solo una delle modalità con cui i detenuti riescono a "drogarsi" e a compiere atti di autolesionismo o tentato suicidio. Per drogarsi, infatti, sembra che i detenuti utilizzino anche cocktail di farmaci, tagliati e mescolati tra loro come "droga fatta in casa", mentre per l’autolesionismo ci sono le lamette da barba con le quali, pare quasi quotidianamente, molti detenuti in particolar modo stranieri, si feriscono tagliandosi volontariamente le braccia e la pancia, e questo oltre i tentativi di suicidio per impiccagione. Quella della bomboletta di gas, però, sembra essere tra tutte la più pericolosa.

Le bombolette del gas nelle celle, infatti, oltre ad essere usate in questo modo improprio potrebbero facilmente diventare armi offensive di considerevole portata, anche contro gli agenti di guardia. Sembra che episodi simili, in altre carceri italiane siano già accaduti: bomboltette usate come lanciafiamme o fatte scoppiare come bombe. (La Gazzetta di Modena, 13 aprile 2007)

"Nella casa circondariale S. Anna di Modena si è suicidato un detenuto originario del Marocco, di nome Driss Kermadi. Lo hanno trovato il giorno 6 aprile scorso, poco dopo le 14, nella sua cella, riverso sul fornello del gas e con un sacchetto di plastica in testa". (Bologna, lettera firmata, 25 aprile 2007)

 

 

Malattia: 7 marzo 2007, Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa (Caserta)

 

Antonino M., 43 anni, affetto da Hiv, muore lo stesso giorno in cui viene ricoverato al “Cotugno” di Napoli, proveniente dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. La notizia è diffusa dall’Associazione Antigone, che nel 1999 ha fondato l’Osservatorio Nazionale sulle condizione della detenzione. “Con questo salgono a quattro, ha dichiarato il presidente di Antigone Napoli, Dario Stefano Dell’Aquila, gli internati in Opg campani deceduti, per cause diverse, nell’ultimo semestre. Questa morte, tecnicamente, non è avvenuta in carcere e quindi, formalmente, non risulterà nelle statistiche degli eventi critici. Ci chiediamo, però, come sia stato possibile considerare il suo stato di salute compatibile con l’internamento e perché si sia arrivati al ricovero solo quando, evidentemente, non c’era più nulla da fare? Riteniamo indispensabile giungere ad un radicale superamento degli Opg ed il meccanismo dell’internamento che, così come strutturato, costringe persone con disagio mentale a pene lunghe e indefinite, a fronte molto spesso di un reato lieve e di scarsa pericolosità sociale”. (Antigone Napoli, 6 aprile 2007)

 

Malattia: 13 marzo 2007, Carcere di Napoli

 

Francesco Madonia, 83 anni, è morto. Era in cella da vent’anni, da 15 al "carcere duro". Il questore vieta i funerali pubblici. Con lui nella "cupola" la zona Nord della città era sotto controllo dei boss Corleonesi Gli ultimi vent’anni della sua vita da boss li ha trascorsi in carcere ordinando delitti e gestendo affari. Insieme a tre dei suoi figli. Al Grand Hotel Ucciardone, ad aragoste e champagne, c’è rimasto fino alla terribile estate delle stragi. Poi è stato sempre carcere duro. Negli ultimi mesi, la malattia che lo affliggeva da tempo ha vinto la sua forte tempra. Don Ciccio Madonia, patriarca della mafia di Resuttana-San Lorenzo, se n’è andato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Napoli dove era stato ricoverato un paio di settimane fa con l’aggravarsi delle sue condizioni.

A 83 anni, Francesco Madonia era ancora al regime del carcere duro, di quel 41 bis che proprio qualche giorno fa, su richiesta della Procura di Palermo, è stato ripristinato anche nei confronti di suo figlio Nino. E al carcere duro, sparsi nei penitenziari di massima sicurezza di mezza Italia sono gli altri due figli, Salvino e Giuseppe. L’unico libero, assolto dopo l’arresto per il traffico di droga del Big John, è il più piccolo della famiglia, Aldo il farmacista.

Il nome di Don Ciccio Madonia è risuonato per l’ultima volta proprio ieri mattina nell’aula della terza sezione della corte d’assise d’appello dove si sta celebrando il processo Tempesta. A parlare il pentito Salvatore Cancemi che svela i retroscena del delitto di un tale che "aveva trattato male un medico che si era rivolto a Don Ciccio Madonia che gli dovette fare la "cortesia". Ma ieri mattina il corpo del vecchio boss di San Lorenzo era nell’obitorio del Policlinico di Napoli in attesa di essere trasferito a Palermo.

Il questore Giuseppe Caruso ha già deciso che non autorizzerà funerali in forma pubblica. Toccherà invece ai giudici decidere se autorizzare o meno eventuali permessi ai tre figli detenuti al carcere duro. Con Francesco Madonia se ne va un pezzo di storia della mafia palermitana, protagonista di tutti i più eclatanti ed efferati delitti, dall’omicidio di Piersanti Mattarella a quello del generale Dalla Chiesa, da quello di Ninni Cassarà a quello di Libero Grassi (ucciso da suo figlio Salvino), dal fallito attentati all’Addaura alle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Una montagna di ergastoli e condanne sulle spalle.

È con Don Ciccio che i corleonesi di Totò Riina sottoscrivono il patto di ferro che consentirà loro la conquista di Palermo. Come contropartita Madonia chiede ed ottiene la "liquidazione" del vecchio padrino Saro Riccobono e di tutti i suoi uomini. Siede a pieno titolo nella commissione di Cosa nostra Don Ciccio e i suoi tre figli Giuseppe, Nino e Salvino entrano a far parte del gruppo di fuoco di Cosa nostra che firmerà quasi tutti i delitti decisi dalla Cupola. Sono introvabili i Madonia ma nell’87 a portare i carabinieri nel covo di via D’Amelio in cui si nascondono don Ciccio e Giuseppe è il più piccolo della famiglia, Alduccio. Nel covo viene trovato il famoso libro mastro del racket delle estorsioni di San Lorenzo gestito dai Madonia. Sono loro che mandano il "signor Anzalone" alla Sigma di Libero Grassi a chiedere il pizzo e sono loro a punire l’industriale per il suo rifiuto plateale, sui giornali e in tv. Dal carcere Francesco Madonia decide, tocca a suo figlio Salvino eseguire la condanna a morte in via Ariosto. (La Repubblica, 14 marzo 2007)

 

Malattia: 23 marzo 2007, Carcere di Regina Coeli (RM)

 

Paolo, detenuto rumeno di 22 anni, detenuto nel carcere di Regina Coeli, muore per cause imprecisate nell’Ospedale Santo Spirito, dove era stato ricoverato con urgenza nell’estremo tentativo di salvarlo. Il ragazzo, tossicodipendente, era detenuto per rapina, aveva numerosi precedenti penali ed era sotto osservazione psichiatrica per aver incendiato in passato la propria cella. Si trovava per questo in una cella dove era sorvegliato a vista.

Durante la notte l’agente che lo controllava lo ha sentito rantolare, ha aperto la cella, si è reso conto immediatamente che la situazione era grave ed ha dato l’allarme. Il detenuto non aveva ingerito le medicine che il medico gli aveva prescritto e aveva rigettato il cibo consumato la sera precedente. Il medico di guardia ha deciso l’immediato ricovero all’Ospedale Santo Spirito dove hanno tentato senza esito di rianimarlo con il defribillatore. Non c’è allo stato motivo di ritenere che si sia trattato di un suicidio, di avvelenamento o dell’esito di un’overdose. È stata tuttavia disposta l’autopsia dalla Autorità Giudiziaria che chiarirà le cause della improvvisa crisi e della morte. (Gianfranco Spadaccia, Garante dei detenuti di Roma, 23 marzo 2007)

Paolo aveva 22 anni ed era un rom. È spirato nel carcere di Regina Coeli. Sul corpo strane tumefazioni. Era "clandestino", nonostante fosse nato in Francia, tossicodipendente e detenuto per rapina, aveva numerosi precedenti penali ed era sotto osservazione psichiatrica per aver incendiato in passato la propria cella. Si trovava per questo in una cella dove era sorvegliato a vista. L’unica cosa certa è che Paolo, a Regina Coeli, lo conoscevano bene. Vi aveva trascorso alcuni anni, scontando un cumulo di condanne relative a una serie di piccoli furti commessi da minorenne. Lo conoscevano a tal punto da affidargli il ruolo di cuoco, nella cucina del carcere. E conoscevano perfettamente i suoi problemi di salute, visto che, durante la detenzione, era stato più volte operato per la grave patologia che lo affliggeva dalla nascita e che lo ha costretto a oltre 20 interventi chirurgici, per regolare la valvola e il catetere che collegavano il suo cervello ai reni. Allo stesso modo, non era un mistero l’origine di Paolo. Il magistrato che ha disposto l’autopsia – a cadavere ancora caldo, con tanta tempestività da non dare modo ai familiari, stravolti e increduli, di nominare un perito di parte – scrive a chiare lettere che Paolo era nato in Francia, 26 anni fa. Tutta all’interno del recinto di Schengen, dunque, la breve esistenza di questo giovane rom, trasferitosi in Italia in tenera età e vissuto a Roma per 22 anni. Messo in libertà l’estate scorsa, Paolo era stato ripreso dalla polizia con l’imputazione di non essersi allontanato dal territorio nazionale, ai sensi della Bossi-Fini. Per andare dove? La Jugoslavia, dove sono nati i genitori, non esiste più, e Paolo nei Balcani non ha mai messo piede. Scarcerato dal giudice, è stato nuovamente arrestato dieci giorni fa, con l’accusa di ricettazione.

Prima che la bara venisse chiusa, lunedì mattina i familiari e gli amici hanno potuto notare, sulla tempia destra di Paolo, un vistoso ematoma. Il pensiero è corso subito a quella valvola, a quel delicatissimo catetere, all’emorragia interna che lo ha probabilmente ucciso – e che difficilmente le pastiglie prescritte dal medico del carcere avrebbero potuto arrestare. E alle cause di tutto questo, anche perché i familiari affermano di non spiegarsi il labbro tumefatto, le escoriazioni alla mano sinistra… Non tira una buona aria, a Roma, per i rom. Sono mesi che si succedono gli sgomberi nei campi, perfino in quelli attrezzati del Comune, con modalità analoghe a quelle praticate da Rutelli nell’anno del Giubileo, per le quali l’Italia incassò una sonora condanna dalla Corte dei Diritti Umani di Strasburgo. E adesso la morte in carcere di un ragazzo presentato come "rapinatore rumeno affetto da "disturbi psichiatrici" e seppellito in fretta e furia. (Il Manifesto, 29 marzo 2007)

 

 

Per invio materiali e informazioni
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 3490788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva