Per mantenere alto il livello d'attenzione sulle morti in carcere

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose

 

Attivare un monitoraggio permanente sulle morti in carcere (per suicidio, malattia e "altre cause") anche avvalendosi delle informazioni raccolte dalle associazioni di volontariato e dai giornali carcerari, in modo da dare al carcere quella "trasparenza" che gli organi istituzionali non sembrano voler concedere di propria iniziativa.

 

Raccogliere notizie su eventuali progetti per la prevenzione dei suicidi e degli autolesionismi in ambito penitenziario, per quanto possibile verificare come vengono attuati e quali risultati conseguono. In particolare, va accertato in quali Istituti è attivo il "Presidio Nuovi Giunti" e se, alla presenza di questo servizio, corrisponde un’effettiva diminuzione dei casi di suicidio e autolesionismo (cfr. con Istituti dello stesso tipo, dove però il Presidio Nuovi Giunti non esiste).

 

Far circolare costantemente tutte le notizie raccolte, commentarle, passarle ai giornali, locali e nazionali, stimolandoli a diffonderle e ad interessarsi maggiormente ai problemi del carcere proprio a partire da queste situazioni di estremo disagio.

 

Promuovere momenti di confronto e dibattito sull’argomento, coinvolgendo anche rappresentati politici e degli enti locali, operatori dell’amministrazione penitenziaria, delle Asl, etc.

 

Riproporre il tema più generale della tutela della salute in carcere, in particolare chiedendo un resoconto della sperimentazione sul passaggio di competenze alle Asl, ma anche dell’attività degli operatori sanitari su fronti critici come quello della dipendenza da droghe, alcool e farmaci in carcere, della malattia mentale, dell’HIV.

  1. Spesso gli psicofarmaci sono usati per tenere sotto controllo "l’esuberanza" dei detenuti (quindi per mantenere la disciplina negli istituti), anziché come strumenti terapeutici per il trattamento di specifiche malattie. Sarebbe opportuno realizzare delle inchieste sul loro utilizzo: sui tipi di farmaci e sui dosaggi somministrati, su quello che succede alle persone che escono dal carcere e si ritrovano, dall’oggi al domani, senza "terapia", etc.

  2. Negli O.P.G. e nei Centri Clinici Penitenziari, dopo il taglio dei fondi disposto dal Ministero, quale livello di cure può essere ancora garantito?

  3. Il Ser.T. si sta occupando (a pieno titolo e ormai da due anni), dei tossicodipendenti detenuti: la qualità dei servizi forniti è cambiata? Se è cambiata, com’è cambiata?

  4. La presenza, sempre più numerosa, di detenuti stranieri, richiederebbe la predisposizione di interventi appropriati: educazione sanitaria, mediazione socio-culturale, etc.. Ci sono iniziative al riguardo? Per l’assistenza agli stranieri gravemente ammalati, o invalidi, o tossicodipendenti, esistono degli accordi, delle convenzioni, o almeno delle prassi operative che ne consentono il ricovero all’esterno del carcere, anche dopo il fine pena (come previsto dalle disposizioni in materia sanitaria contenute nel Testo Unico sull’Immigrazione)?

Verificare la possibilità di stipulare convenzioni con l’amministrazione penitenziaria per consentire l’accesso negli istituti di pena a operatori sanitari volontari (medici e infermieri), che affianchino il personale medico in servizio. Potrebbero occuparsi, per cominciare, di progetti di prevenzione, oggi praticamente inesistenti, di assistenza ai malati cronici, di riabilitazione da malattie invalidanti e da dipendenze.

 

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