500 morti in tre anni

 

Carceri, la strage nascosta

 

La denuncia delle associazioni di volontariato alla Camera. Gravissimi i problemi sanitari. In tre anni, 500 morti tra suicidi e malattie. In maggioranza erano giovani

 

Il Secolo XIX, 5 maggio 2004

 

Dal 2001 al 2003 oltre 500 detenuti sono morti nelle carceri italiane per "malasanità" o perché si sono suicidate: in media uno ogni due giorni e circa la metà aveva meno di 40 anni. È uno dei dati che Livio Ferrari, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, ha sottolineato ieri ai deputati delle Commissioni Affari sociali e Giustizia della Camera riunite per l’indagine conoscitiva sulla sanità penitenziaria.

Nell’audizione sono stati ascoltati i rappresentanti di alcune associazioni di volontariato che operano nel settore, in particolare, l’onlus Antigone, la Lega italiana per la lotta all’Aids, Roma insieme, La Fraternità e, appunto, la Conferenza volontariato giustizia.

Dal 1995 a oggi si è registrato un costante aumento delle morti in carcere, ha ricordato Ferrari in una nota consegnata ai deputati, e nella maggior parte si è trattato di persone giovani: circa la metà dei 500 morti tra il 2001 e il 2003 aveva meno di 40 anni. Solo l’anno scorso, ha precisato l’associazione Antigone (rappresentata dal coordinatore nazionale, Patrizio Gonnella), i suicidi in carcere sono stati 65 (57 per l’amministrazione penitenziaria) tra cui due minorenni.
D’altronde, hanno ricordato le Associazioni, circa 17 mila detenuti risultano tossicodipendenti, diecimila hanno forme di disagio mentale, altri diecimila sono colpiti da malattie infettive (soprattutto epatiti), mentre tornano scabbia, tubercolosi e sifilide, tutte malattie che sembravano ormai appartenere al passato.

Nel documento consegnato ai deputati, Antigone ricorda tra l’altro i risultati di una recente ricerca finanziata dall’Istituto superiore di sanità su 175 operatori sanitari (dei quali 103 medici) di Istituti di pena in sette regioni. È risultato, per esempio, che il 72,3 per cento degli intervistati ritiene insufficiente o largamente insufficiente il budget destinato dal suo istituto alla sanità; che nella metà delle carceri, all’ingresso non viene consegnato alcun materiale informativo di carattere sanitario e solo nel 27,7 per cento degli istituti si consegnano opuscoli di educazione sanitaria. Inoltre, in meno della metà delle carceri c’è una Guardia medica per tutte le 24 ore, mentre in un solo penitenziario su quattro è presente un defibrillatore e in più della metà ci vogliono almeno 12 ore per avere i medicinali di base.

Tutto ciò, ha sostenuto Ferrari, in un quadro nel quale il ministero della Giustizia avrebbe progressivamente ridotto i fondi per la sanità penitenziaria: 16 milioni di euro in meno nel 2003, pari al 30 per cento dello stanziamento per il 2002, che già era ridotto del 20 per cento rispetto al 2001.
A ciò si aggiunga, hanno sottolineato le Associazioni di volontariato, che le sezioni a custodia attenuata (previste dal Testo Unico sulle tossicodipendenze del ‘90) "ospitano" solo il 14 per cento dei detenuti tossicodipendenti e che soltanto in pochi istituti di pena è stato attivato il "Presidio nuovi giunti" che dovrebbe fornire un primo sostegno alle persone appena arrestate, che poi sono quelle tra le quali si verificano più frequentemente suicidi e atti di autolesionismo. "Purtroppo - ha concluso frate Giuseppe Giuliano Prioli, fondatore dell’Associazione La Fraternità - tra le cose che più mancano nelle carceri ci sono il sostegno morale e il rapporto umano: vi sono detenuti che non hanno mai potuto parlare con qualche operatore del volontariato perché la nostra presenza non c’è. Siamo forse scomodi?".

 

 

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