Sevizie in cella a San Vittore

 

Tollerarono gli abusi su un detenuto pedofilo:

concorso in violenza carnale per sette agenti

 

Il Giorno, 30 gennaio 2004

 

Da abuso d’ufficio a concorso in violenza carnale. E’ questa la modifica del capo d’imputazione chiesta dal pubblico ministero Tiziana Siciliano - e accolta dal tribunale - nel processo in corso nei confronti di sette agenti della polizia penitenziaria di San Vittore e due infermieri della stessa struttura. Tutti costoro sono a giudizio per non avere interrotto, né successivamente denunciato, una punizione inflitta da alcuni detenuti a un compagno di cella, accusato di fatti di pedofilia. In base a una sorta di "legge del taglione", che ancora vige tra i detenuti in alcune carceri, il recluso era stato sottoposto a dolorosi episodi di violenza. Il tribunale ha accolto la modifica del capo d’accusa e ha rinviato il processo al 19 febbraio quando comincerà la discussione della causa.

La vicenda divenne di pubblico dominio nel novembre del 2001. Per una settimana, un detenuto era in pratica scomparso dentro il carcere. Sequestrato in cella. Prigioniero di altri detenuti che, in nome di una regola non scritta vigente in carcere, per giorni lo avevano picchiato, seviziato con una scopa, torturato con bruciature alle palme dei piedi. Per giorni si erano pure sostituiti a lui, mettendosi al suo posto quando si trattava di ricevere le medicine la sera o di fare l’appello o di rinunciare all’ora d’aria, senza che nessuno si accorgesse dell’inferno dentro quella cella.

E nessuno si accorse o volle accorgersi: né gli altri detenuti testimoni dei fatti e delle urla, né il personale del carcere. Fino a quando un infermiere, insospettito da quello stranio modo di ricevere in cella le medicine altrui, decise di aprire gli occhi e denunciare quanto stava accedendo. San Vittore venne rivoltato come un guanto dai sopralluoghi degli investigatori, dagli agenti della polizia scientifica, dagli interrogatori a raffica.

Due dei compagni di cella della vittima, nel frattempo ricoverata in ospedale, furono raggiunte da un ordine di custodia cautelare per violenza sessuale e lesioni gravissime.

Poi toccò agli agenti di custodia. Una decina finirono sotto inchiesta per abuso d’ufficio: per l’accusa non vigilarono a sufficienza sui detenuti, violando così il regolamento penitenziario.

L’indagine, affidata al pubblico ministero Giovanna Ichino, cercò di approfondire gli interrogativi rimasti aperti sulla dinamica del brutale episodio. Com’era stato possibile che una tale violenza si fosse scatenata, in modo quasi scientifico, in una delle sezioni del carcere che almeno sulla carta avrebbe dovuto essere tra le più sorvegliate e protette? Risposta che gli indagati non seppero fornire in modo convincente.

I due compagni di cella autori delle violenze scelsero di affrontare il processo con il rito "abbreviato": a fine 2002 vennero condannati rispettivamente a 4 e 5 anni di reclusione e a risarcire la vittima delle loro pesanti attenzioni. Gli agenti di custodia furono invece rinviati a giudizio per omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio. Ieri mattina il colpo di scena processuale, con la decisione del pubblico ministero Tiziana Siciliano - che ha ereditato il fascicolo dalla collega Giovanna Ichino - di contestare il reato più grave di violenza sessuale. Pene previste: fino a 12 anni di carcere.

 

 

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