Processi per violenze e pestaggi

 

Biella: per i pestaggi nella "camera liscia" ci sono 57 indagati

 

Procedimenti avviati

Reati ipotizzati

A carico di

Esito

Procura di Biella

Abuso d’ufficio, lesioni aggravate

Agenti di P.P., medici carcerari

Sconosciuto

 

I "fatti di Biella" del luglio 2000 (Associazione "Nessuno Tocchi Caino")

 

16 ottobre 2000

 

La mattina del 5 luglio 2000, il detenuto Gian Luca Filippi, difeso dalla dott.ssa Elettra Veronese del Foro di Biella, viene tradotto dal Tribunale di Biella, ove si era tenuta udienza, al locale carcere.

Filippi dice di essersi lamentato, già durante il tragitto, che le manette gli stavano lacerando la pelle ai polsi, ma che nessuno gli diede retta; sostiene ancora che, una volta dentro le mura carcerarie, nel cortile più interno, al momento di farlo scendere dal blindato, veniva buttato a terra; su di lui si accanivano gli agenti della scorta e altri accorsi dall’interno per dare man forte: erano tre o cinque, non li vedeva bene, perché aveva la testa china per parare i colpi infertigli. Lo picchiano a sangue, gli fratturano le costole, lo prendono a calci in faccia, lo portano nel corridoio dell’Ufficio Matricola, dove continua il pestaggio; poi lo richiudono nella "cella liscia" (completamente priva di oggetti di arredamento), dove resta fino a circa le 15.00. In seguito gli agenti sosterranno che aveva tentato di fuggire. 

Il giorno 12 luglio 2000, il legale di Filippi deposita presso la Procura della Repubblica di Biella, per conto del suo assistito, una dettagliata denuncia in merito all’accaduto.

Egli dice, inoltre, di essersi recato in infermeria appena uscito dalla "cella liscia", ma che il medico non volle refertare nulla di quanto vedeva, anzi disse che non vedeva alcuna lesione.

E così la vicenda viene ad innestarsi in un’indagine appena iniziata. Pochi giorni prima, infatti, la Procura Generale di Torino aveva fatto pervenire alla Procura della Repubblica di Biella copia di una denuncia sporta da parte di un detenuto ristretto presso il carcere di quella città, nella quale si narra dei pestaggi avvenuti la notte del 25 giugno 2000, facendo nomi e fornendo particolari, nonché parlando di altri episodi che confermerebbero la "sistematicità" di tali soprusi.

È questo il motivo che, in quei giorni, ha portato in visita a Biella il Procuratore capo della Procura Generale di Torino, dottor Antonino Palaja. Altro motivo che dà origine all’indagine è un provvedimento del Consiglio di Disciplina interno allo stesso carcere, mandato per conoscenza alla procura di Biella, solo il giorno prima che il Filippi presentasse la sua denuncia; nell’ambito di quel provvedimento viene esaminato l’episodio del 25 giugno 2000 e si traggono conclusioni circa la presenza tra le guardie di "elementi violenti", chiedendo alla Procura di indagare.

Sulla scia di quanto fatto dal Filippi, altri detenuti sporgono denuncia, tramite il medesimo legale, e così l’indagine si estende a macchia d’olio. Il numero degli indagati sale a 23 e risultano coinvolti componenti dell’intera gerarchia della Polizia penitenziaria e del personale medico. Tutti i carcerati interessati vengono trasferiti in altre strutture carcerarie, principalmente in quella di Ivrea.

Nel frattempo, l’inchiesta prosegue e si estende anche ad altre carceri, tra cui Vercelli, Novara e Verbania. Tutti i denuncianti e le persone indicate come a conoscenza dei fatti vengono sentiti dalla Procura di Biella, in carcere o presso il Palazzo di Giustizia: effettuano riconoscimenti fotografici e forniscono dettagli e particolari della vicenda del 25 giugno, nonché di altri episodi analoghi.

Dalla lettera inviata alla Procura Generale di Torino apprendiamo alcuni particolari.

La vicenda del 25 si inserisce nel clima di protesta dei detenuti delle carceri italiane finalizzato a sollecitare il Parlamento a prendere provvedimenti circa l’amnistia e l’indulto. Nel corso di quella notte, nella sezione del 3°piano A, i detenuti protestano per la loro condizione; alcuni vengono individuati dagli agenti e, poco dopo, vengono prelevati dalle celle; l’unico italiano viene picchiato già in sezione, per dare un esempio; poi, insieme a quattro extracomunitari, viene portato nella zona della "cella liscia"; qui vengono sistemati in celle separate e iniziano i pestaggi. Vengono richiamati in caserma agenti che non erano in servizio e vengono usati anche gli idranti.

Per quanto riguarda le indagini, come si è detto, vi sono denunce anche nei confronti del personale medico: due medici sono sotto inchiesta per aver subordinato l’invio di detenuti in ospedale alla previa dichiarazione di "essere caduti dalle scale". Ad oggi, non sembra che si sia ancora arrivati a formulare rinvii a giudizio.

Quest’oggi sono venuta in possesso - ha dichiarato la dottoressa Elettra Veronese - di una denuncia olografa, redatta da un detenuto extracomunitario, che narra di un episodio gravissimo verificatosi nello scorso mese di maggio nel carcere di Biella. L’ho ricevuta solo ora, in quanto l’autore si trova presso altro carcere. Nei prossimi giorni provvederò a depositarla presso la locale Procura della Repubblica.

 

Dichiarazione della dottoressa Elettra Veronese, avvocato del Foro di Biella

 

Ho seguito l’indagine fin dai suoi albori, offrendo il mio aiuto agli inquirenti. Sono stata il mezzo attraverso cui molti detenuti hanno potuto, finalmente senza paura, far sapere alle Autorità cosa stava accadendo, da anni, nelle carceri. Le testimonianze che ho ascoltato e raccolto sono agghiaccianti, di episodi dove la dignità umana è stata calpestata, dove non v’è stata alcuna pietà per le sofferenze che venivano inferte ai carcerati.

La Procura e il sindacato della polizia penitenziaria manifestano il timore che la vicenda possa essere strumentalizzata, condivido tale preoccupazione, ma confido appieno nell’operato della magistratura che si è solertemente attivata. Auspico da parte del nostro Governo l’adozione di provvedimenti tesi a garantire che episodi di tal genere non abbiano più a verificarsi e che, prestando un occhio vigile ed attento ai fatti denunciati, impedisca che il tutto si risolva in una bolla di sapone.

 

Botte in carcere, 57 indagati. Conclusa l’inchiesta sui presunti pestaggi . Coinvolti medici e agenti penitenziari, che furono denunciati nel 2000 da alcuni detenuti

 

La Stampa, 14 dicembre 2002

 

Un fascicolo alto così, con 57 indagati e accuse pesanti, soprattutto rivolte allo staff medico che avrebbe anche omesso di soccorrere adeguatamente i detenuti, in un caso provocandone addirittura il decesso. Dopo due anni di lavoro si è chiusa l’inchiesta sui pestaggi in carcere, un caso sollevato nel luglio del 2000 da un esposto inviato a politici, magistrati di sorveglianza, procuratori della Repubblica e all’allora direttore generale degli istituti di pena Giancarlo Caselli. In sette pagine scritte in stampatello, un gruppo di reclusi della casa circondariale di via dei Tigli lanciò accuse pesanti al personale di sorveglianza.

Il memoriale, finito sul tavolo dei magistrati, fece la cronaca, sino nei dettagli, di fatti che sarebbero accaduti nel carcere di Biella. E la procura generale di Torino ordinò subito un’indagine, del tutto simile a quella che più o meno nello stesso periodo fu attivata per il carcere di Sassari. L’opera degli inquirenti, affidata ai carabinieri, è stata coordinata direttamente dal procuratore capo Ugo Adinolfi. E proprio in questi giorni l’avviso di termine dell’indagine è stato notificato agli indagati e ai loro avvocati difensori.

A guardare i numeri e i reati contestati, le conclusioni della magistratura danno l’impressione di un autentico terremoto: abbandono di persone incapaci (applicabile appunto nel caso di carcerati), abuso d’ufficio, lesioni aggravate e altro ancora. In tutto appunto 57 tra medici e guardie carcerarie, una buona fetta degli addetti della casa circondariale dei via dei Tigli. Come già emerso, i pestaggi ai detenuti sarebbero avvenuti nella "camera liscia", una camera priva di arredi perché solitamente utilizzata per le perquisizioni.

Sull’esistenza di questa stanza non ci sarebbero dubbi, in quanto indicata dagli stessi agenti i quali però ribadiscono il suo utilizzo solo per i controlli sui prigionieri. Ovviamente tutte le parti in causa negano le accuse. Si attende ora la fissazione dell’udienza preliminare, che sicuramente servirà a chiarire ulteriormente la vicenda e a fare il punto sui vari reati contestati. Va comunque precisata una cosa: l’inchiesta, oltre ai presunti pestaggi, ha evidenziato anche la critica situazione in cui lavorano gli agenti di polizia penitenziaria, da troppo tempo alle prese con organici insufficienti e con strutture inadeguate. Questi problemi erano stati sottolineati anche da diversi parlamentari ed amministratori pubblici, che negli anni scorsi erano andati in visita alla Casa circondariale di via dei Tigli. 

 

Biella, un penitenziario nella bufera  violenze sui 59 inquisiti per carcerati

 

Il Secolo XIX, 5 gennaio 2003

 

Maurizio Minghella ha lasciato Biella, destinazione Cuneo. Il suo destino, almeno per i prossimi tempi, è quello di rimanere rinchiuso in una cella del carcere di massima sicurezza. Una decisione annunciata e anche attesa, soprattutto dai familiari che ieri hanno rinunciato ad andare a trovarlo a Biella proprio per questo. Accade sempre, dopo ogni tentativo di evasione, che il detenuto venga trasferito altrove. Ma la decisione questa volta ha un imprimatur diverso, l’ordine arriva dall’alto. È stato "suggerito" da Roma.

"Perché - avrebbero spiegato i vertici del dipartimento del ministero di Grazia e giustizia - del carcere di Biella non ci si può più fidare". Giudizio pesante, ma scontato. Neppure tre settimane fa si è infatti conclusa una delicatissima inchiesta penale della procura di Biella. Nel fascicolo, ricco di accuse e deposizioni, si parla di abusi e pestaggi dei detenuti, di omissioni e silenzi dei medici, di intimidazioni da parte delle guardie. Un quadro fosco, quello disegnato dal procuratore capo Ugo Adinolfi, che dipinge il carcere di Biella come una vera e propria Caienna.

Le persone indagate sono 59. Si tratta soprattutto di guardie carcerarie. Ma anche di medici, il cui ruolo, tuttavia, sarebbe risultato marginale: la loro colpa, sostanzialmente sarebbe stata quella di non essersi mai accorti di nulla. Tra i principali protagonisti di questa vicenda giudiziaria, invece, ricorre il nome di Mauro Calesini, il direttore sanitario che è stato appena rimosso per l’evasione di Minghella: per lui l’accusa è più pesante. Avrebbe omesso di disporre accertamenti sanitari sui detenuti che glielo chiedevano. Nei giorni scorsi il procuratore capo ha inviato a 59 persone l’atto di conclusioni delle indagini.

E adesso altrettante richieste di rinvio a giudizio sono pronte a partire. Secondo l’accusa, le guardie carcerarie avrebbero usato violenza contro moltissimi detenuti, fisica e morale. C’era una stanza, dentro il carcere, che era detta la "cella liscia", perché priva di arredo, dove i detenuti venivano perquisiti. E poi dove venivano "massaggiati" con violenti getti d’acqua sparati da un idrante. Gli agenti, inoltre, accompagnavano il detenuto "ferito" in infermeria in gruppi formati da cinque, sei anche sette persone. Secondo l’accusa volevano assistere ai racconti che facevano ai medici, per controllare che ripetessero la "solita" storia: "Sono caduto".

Tutto bene. Per molti mesi. Fino a quando un detenuto non ha deciso di aprire il libro e di raccontare la sua verità. Il pm ha cercato di ricostruire uno a uno tutto gli episodi. Ha controllato registri, prognosi, ha interrogato medici e agenti. Adesso che l’inchiesta è conclusa, il fascicolo finirà in aula per il dibattimento. Ma a Palazzo di giustizia, sono in molti a giurare che non sarà un processo "facile" per l’accusa. I giudici dovranno valutare le dichiarazioni contrastanti di figure contrapposte: quelle dei detenuti contro quelle delle guardie. Per ora una sola cosa è certa. La fuga di Minghella, l’altro giorno, è riuscita a provocare una "reazione" che neppure questa inchiesta giudiziaria era riuscita a provocare. L’altra mattina il provveditore generale Giuseppe Rizzo ha decapitato i vertici del personale penitenziario. Durante l’inchiesta della procura sono rimasti al loro posto.

 

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