Dossier carceri 2000 di "Nessuno tocchi Caino"

Viaggio tra l’illegalità del sistema penitenziario italiano

 

Il 13 aprile 2000, un uomo di 50 anni, Angelo Audino, è morto in una cella del Centro diagnostico terapeutico del carcere delle Vallette di Torino. Era stato arrestato ad aprile del ‘99, ma dopo alcuni mesi era stato ricoverato in ospedale e, a novembre, trasferito agli arresti domiciliari per le sue gravissime condizioni di salute. "Ipertensione arteriosa essenziale severa, cardiopatia ischemica monovasale e pregresso infarto miocardico con retinopatia causata dalle conseguenze", hanno detto i medici. Trascorse 23 ore a casa, era stato riportato in carcere per scontare una vecchia pena.

Lì, le sue condizioni si erano aggravate e, la sera prima del decesso, gli era stato notificato l’ennesimo rigetto dell’istanza di differimento penacon la motivazione che le patologie di cui era sofferente sarebbero state controllabili in ambito carcerario. Quando il medico è intervenuto, il detenuto era già morto.

Il 1° maggio 2000, una donna di 28 anni, Giovanna Franzò, è morta nell’ospedale di Ragusa per un ascesso ai denti non curato. All’ospedale era giunta tre giorni prima, proveniente dal carcere della città, dove la donna, condannata a 7 mesi per furto, stava espiando la sua pena. Dopo settimane di sofferenze – il collo ingrossato, la febbre alta, il respiro sempre più affannoso – i medici del carcere hanno capito che la donna stava morendo e si sono decisi di ricoverarla in ospedale. La Tac ha rivelato l’evoluzione dell’ascesso dentario in una "mediastinite necrotizzante". Dopo due interventi chirurgici, la giovane vita di Giovanna Franzò si è spenta per sempre. Il 1° luglio, finita di scontare la sua pena, sarebbe ritornata a casa.

Il 20 maggio scorso, un uomo di 31 anni, Vincenzo Spina, si è impiccato nella sua cella del reparto "G7" dove si trovano i detenuti in regime di Art. 41 bis (altissima sorveglianza e contatti limitati) del Nuovo Complesso del Carcere di Rebibbia. Stava scontando una pena all’ergastolo per omicidio. Il suo "fine pena: mai", si è risolto nell’arco di dieci anni.Nella notte tra il 23 ed il 24 giugno, Eleonora Manna è morta di infarto nella sua cella nel carcere di Rebibbia.

Il 29 giugno, un giovane marocchino si è ucciso nel carcere di Modena, impiccandosi all’interno della cella di transito nella quale era detenuto.Era stato arrestato il giorno prima per resistenza a pubblico ufficiale, e aveva precedenti penali per droga. L’udienza di convalida dell’arresto era prevista il giorno dopo la sua morte.

Il 15 luglio, Giovanni S., 44 anni, detenuto da un anno nel carcere di Torre del Gallo (Pavia), si è suicidato. Si è stretto al collo la cintura dei pantaloni e, fissata alle sbarre di alluminio del letto a castello, si è lasciato soffocare fino alla morte. Giovanni S. era stato arrestato per spaccio di droga e una rapina e sarebbe dovuto uscire nel 2002. Non ha lasciato nessun messaggio, ma si era confidato con i compagni di cella sulle speranze di un’amnistia o di un indulto. Nell’apprendere dai telegiornali di mezzogiorno dell’uccisione di un maresciallo dei carabinieri in Puglia, ha temuto che la discussione politica sulla possibilità di un atto di clemenza si sarebbe arenata.

Sono solo gli ultimi casi di morti in carcere. Stando ai dati, nel 1999, sono state 83 le persone morte dietro le sbarre e 59 i suicidi. A questi casi di persone morte tra le mura del carcere, vanno aggiunti almeno altri 100 detenuti morti sulle ambulanze o dopo il ricovero in ospedale. Sempre nel 1999, nelle carceri italiane sono stati inoltre registrati 9.794 casi di malattie infettive; 5.000 sieropositivi; 6.536 casi di autolesionismo; 920 tentativi di suicidio; 1.800 ferimenti; 2 omicidi, 50 incendi; 5.500 scioperi della fame; 4.800 episodi di rifiuto di farmaci e terapie.

I detenuti tossicodipendenti sono 18.000, molti dei quali incarcerati in base all’art. 73 della legge 309/90 (possesso e piccolo spaccio di droga). I sieropositivi e i malati dichiarati di AIDS in carcere sono 3.000, ma soltanto il 40% della popolazione ristretta si sottopone al test all’ingresso. Si può stimare che i detenuti positivi per Hiv siano 5.000.Una legge del ‘93 che sancisce l’incompatibilità della malattia con il regime carcerario, è stata modificata in senso restrittivo nel ‘95 e nel’99, affidando al magistrato la discrezionalità di decidere la permanenza in carcere dei malati. Almeno il 70% delle persone sieropositive e ammalate che sono rinchiuse nelle carceri – sostiene Rosaria Iardini, rappresentante dell’Anlaids – non ricevono cure corrette. A peggiorare la situazione ci sono anche i trasferimenti: capita spesso che, assieme al detenuto, non venga spedita la sua cartella clinica nel carcere di destinazione. La conseguenza è la sospensione forzata della terapia, l’annullamento dei risultati raggiunti e il rischio di andare incontro a infezioni opportunistiche".

"Chi entra in carcere non perde solo la libertà ma anche la salute", ha dichiarato Francesco Ceraudo, presidente dell’Amapi, l’associazione dei medici penitenziari.