Il fine ultimo della creazione

 

Il fine ultimo della creazione

 di Tim Willocks

Mondadori € 7

 

Un romanzo dentro al carcere americano

 

Texas, carcere di massima sicurezza di Green River, Fiume verde, per la luce verdastra che sovrasta il fiume di uomini che lo popolano. Duemila persone, di ogni razza e colore, la cui quotidianità significa contendersi gli spazi, rendendo la detenzione una lotta per la sopravvivenza.

Un luogo affidato alla gestione di un direttore dotato di una mente di rara follia e che accenderà la miccia di quella che poi sarà chiamata "la più grande e sanguinosa rivolta in un carcere che gli Stati Uniti abbiano da ricordare".

La rivolta, ovvero un gioco al massacro dove lo scontro è sempre in agguato tra bianchi e neri, tra messicani e ispanici contro tutti, scoppia per contendersi Claudine-Claude, un travestito debole e remissivo che, in quel mondo tutto troppo maschile, vede come unico mezzo di sopravvivenza la sottomissione: "Se mi ribello alle perversioni ci rimetto la pelle, se invece mi piego alle sue volontà c’è qualche buona possibilità di uscire di qua vivo e potrò finalmente andare a sorseggiare il mio One Hundred Pipsers con la cannuccia da Alfonso’s".

E’ proprio il capo bianco che, pur di riprendersi Claudine dalle mani del nero, non esita a scatenare una sanguinosa guerra dove il colore della pelle ti dice con chi stare, perché "...l’uomo è una razza animale tribale per natura ed istinto".

In questa guerra c’è un mediatore, Ray Klein, finito in carcere con la falsa accusa di violenza carnale, denunciato per vendetta dalla donna con cui aveva ormai da tempo deciso di separarsi: "...se violenza carnale vuoi dire usare l’atto sessuale per fare del male all’altra persona, allora l’ho violentata molte volte, ma né più e né meno di quanto lei abbia violentato me".

Klein, che presta assistenza ai malati nell’infermeria, dovrà anche lui combattere la sua guerra, forse la più grande, da solo contro tutti.

Infatti, il giorno in cui scoppia la rivolta, gli viene comunicato che la "Commissione" ha accolto la sua richiesta di libertà vigilata e può uscire di prigione l’indomani mattina. Poteva rimanere tranquillamente barricato nella sua cella, aspettando che tutto fosse finito, come gli consigliava la scritta che leggeva tutte le mattine sul suo specchio: "non sono cazzi tuoi", se non fosse che anche l’infermeria viene presa d’assalto. Che fare, aspettare che la Guardia Nazionale venga a sedare la rivolta per poi accompagnarlo fuori dalla prigione, mentre i suoi malati rischiano di essere presi in ostaggio e subire le più orrende mutilazioni ?

La sua coscienza viene messa a dura prova e la sua scelta è sicuramente una vittoria dell’uomo sull’uomo, una scelta che diventa più sicura quando lui comprende che anche Devlin, la psicologa che con il suo aiuto sta svolgendo degli studi sulla mente criminale, è intrappolata nell’infermeria.

 

Da un fatto realmente accaduto Tim Willocks è riuscito a dar vita a un romanzo da leggere tutto d’un fiato, un thriller di rara violenza, dove le parti più nascoste del cuore e della mente vengono spesso messe a dura prova. Questo libro non vuole essere solo un viaggio nella realtà carceraria americana, ma anche farci immergere nei più profondi labirinti e abissi della mente umana, dove la decisione di un momento può costare la vita, oppure decine di anni di carcere.

Uomini entrati in carcere per piccoli reati, che per sopravvivere a quel regime carcerario si allungano la pena per pura e semplice difesa personale, in quel sistema, generato dalla esasperazione della società civile, dove le guerre tribali e il razzismo vengono accentuati dalla detenzione, scatenando violenze generate da una crudele e sofisticata immaginazione.

Nella posizione in cui mi trovo, non posso che confrontare il carcere americano con quello italiano e tornare di molti anni indietro nel passato per ricordare violenze di quel tipo in "casa nostra", non perché quel carcere l’ho vissuto di persona, ma perché ho incontrato vecchi "utenti" che me lo hanno raccontato, portandosi dietro ancora i cocci di quel sistema che non poteva reggere con quei livelli di conflittualità.

In Italia oggi non ci sono più rivolte: la legge Gozzini, quando applicata, rende meno pesante l’illogicità del carcere, dando la possibilità di rinsaldare quei rapporti con la propria famiglia che, grazie alle pene a volte altissime e non sempre proporzionate, rischiano di sgretolarsi.

Ma c’è ancora molto da fare, se si pensa all’invivibilità nelle carceri abitualmente sovraffollate, alle pene elevate, da scontare con un tempo che mai sembra finire, alla carenza di operatori penitenziari, e c’è soprattutto un’altissima percentuale di suicidi, tentati suicidi, autolesionismi, che la dicono lunga sulla "insopportabilità" della carcerazione.

 

Michele Esposito

 

 

 

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