"I buoni dentro. I cattivi fuori"

 

“I buoni dentro. I cattivi fuori”

Studenti in carcere, detenuti nelle scuole. Un libro a più voci che racconta un’esperienza straordinaria: quella di un percorso di incontri e confronti serrati tra i ragazzi di molte scuole e il carcere e i suoi abitanti

 

di Stefano Bentivogli, ottobre 2006

 

Fare  informazione è anche approfondire, ossia cercare di  mettere a fuoco i dettagli di un evento, un fenomeno, una realtà che  conosciamo direttamente o della quale siamo stati a nostra volta informati, ma con l’attenzione a osservare i fatti da angolature diverse, più scomode perché lontane da quelle che sono le nostre. Informare non sarà mai davvero “mostrare la verità”, ma sicuramente se non si mantiene la tensione verso l’obiettività, se non c’è la lealtà di mostrare anche quanto mette in discussione le nostre idee, i nostri convincimenti, non ci si avvicinerà nemmeno a qualcosa che le assomigli.

Così raccogliere nel libro “I buoni dentro. I cattivi fuori. Studenti in carcere, detenuti nelle scuole” gli scritti che rappresentano il percorso fatto insieme da detenuti, studenti, docenti,  volontari e operatori penitenziari a Padova ha significato anche documentare che, nel nostro caso sul problema della legalità e del carcere, è possibile fare informazione in maniera efficace, nuova e soprattutto partecipata.

Il progetto “Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere”, dopo il successo dell’anno scorso, si è trovato quest’anno con una mole di partecipanti, e quindi di lavoro, aumentata a dismisura. Fondamentale è rimasta la strutturazione diversificata secondo le richieste delle classi che aderivano, ma soprattutto la voglia di evitare il solito modo di porsi di molte attività di questo genere, che rischiano spesso di rendere artificiale e poco stimolante l’argomento che viene affrontato.

Ecco, forse l’aspetto più significativo dell’esperienza raccontata nel libro è stata la reciprocità, tra detenuti e studenti in particolare, nell’informarci e nel metterci in discussione, evitando di giudicare e condannare senza neanche provare ad ascoltare e conoscere meglio le persone, le loro storie, i loro sentimenti. Salta subito agli occhi poi che invece di rimanere sugli aspetti teorici dei temi trattati, ci si è portati rapidamente in prima linea, a stretto contatto con i problemi tramite le persone che direttamente li vivono o li hanno vissuti. E la necessità di mettersi in gioco sul serio ha reso spesso scomoda la sedia dalla quale si parlava o si ascoltava.

Il progetto, e di conseguenza il libro, diventano stimolanti proprio quando ci si accorge che il percorso ha, e deve avere, per ognuno un traguardo diverso, come diverse erano le opinioni di partenza. Praticamente per tutti i partecipanti resta un’esperienza unica, e questo lo si deve, oltre che al lavoro degli organizzatori, alla disponibilità e al coraggio che insegnanti, operatori del carcere, l’amministrazione comunale hanno avuto nel promuovere un delicato lavoro di sensibilizzazione sui temi della legalità e della devianza coinvolgendo chi in carcere ci vive.

 

I “buoni” ne escono per la maggior parte scossi, stupiti dalle infinite possibilità di passare dall’altra parte

 

Il contatto con una realtà così complessa ha avuto il potere di smuovere nei ragazzi le emozioni, i sentimenti, di coinvolgerli e obbligarli a mettersi in discussione, a cambiare, in alcuni casi a crescere. Per noi detenuti o ex invece non è stato semplice affrontare questo spaccato di mondo libero che ci chiedeva spiegazioni, non solo su come funziona il carcere, che è fin troppo semplice, ma su come ci si finisce, su come ci siamo finiti. Allora si arriva a rivedere la nostra storia, a renderla comprensibile anche quando questo è difficile pure per noi stessi, perché questi giovani, sui quali spesso lo stereotipo è quello della superficialità, del qualunquismo, invece non si accontentano di cosa è successo ma vogliono capire il perché.

Così anche per gli studenti il contatto diretto con quelli che venivano considerati “mostri”, l’accorgersi improvvisamente della loro vicinanza al genere umano, a loro, alle loro possibili storie ha provocato molti scossoni. Sono parecchi infatti gli scritti nei quali quella che doveva essere la solita attività scolastica diventa un’esperienza importante, ed emerge forte una voglia di conoscere la realtà, di istruirsi in maniera critica, un bisogno che probabilmente oggi la scuola non riesce a soddisfare in maniera sufficiente.

 

Le tappe di un progetto “diverso”

 

Si poteva ridurre il tutto a dire “…ci sono delle regole, vanno rispettate, chi trasgredisce va in galera e in galera si sta male: quindi fate i bravi e non trasgredite”, e invece si è provato ad entrare nel cuore delle questioni. Prima cosa, occorreva conoscere i protagonisti: i detenuti, gli agenti, gli operatori, il Magistrato di sorveglianza, i volontari. Poi magari nella storia, nella letteratura, nel cinema c’erano opere interessanti  e utili a vedere altri approcci al problema. Infine la giornata in carcere, che non chiamo visita non a caso. Si visita una mostra, un museo, una città, lo zoo…: la giornata in carcere doveva invece essere un incontro, particolare, anomalo ma pur sempre un incontro con delle persone nel loro ambiente di vita. Certo per molti non è stato semplice né entrare e tanto meno uscirne serenamente, ma vedere quantomeno una parte dell’istituto, poter chiedere informazioni liberamente, guardarsi in faccia senza sbarre, senza quelle protezioni che la legge ed ancor più l’immaginario rendono necessarie non è cosa di tutti i giorni.

Il libro racconta la possibilità di fare un’esperienza che fa crescere la capacità critica di ognuno di noi, dentro ci sono le impronte lasciate da persone che ne hanno incontrate altre e si sono confrontate interamente. Per i “cattivi” è stata un’occasione di confronto normalmente impossibile, un momento dove, senza obblighi, hanno potuto provare a raccontare e spiegare i tanti perché della loro situazione. In realtà la ricerca di risposte oneste dovrebbe essere il compito principale di una pena  inflitta dal Tribunale, che invece si riduce spesso ad un periodo più o meno lungo di privazioni.

I “buoni” ne escono per la maggior parte scossi, stupiti dalle infinite possibilità di passare dall’altra parte, e pur restando fermi in una rigida distinzione tra il bene ed il male scoprono le mille sfumature nelle quali normalmente si vive.  I “cattivi” almeno si scrollano di dosso tanti luoghi comuni e tornano ad essere persone a tutti gli effetti. Il carcere ne esce invece comunque come una realtà diversa da quella che si immaginava, e lascia tanti interrogativi sulla sua utilità rispetto alla sicurezza sociale.

Quello che alla fine ne è venuto fuori è una raccolta di scritti che lascia sperare bene per il futuro di questi ragazzi, che nei loro testi trasmettono una voglia di capire, di approfondire, di cambiare che spesso gli adulti sembra abbiano perso. E chissà che il libro non sia uno stimolo anche per loro.

 

Nel libro “I buoni dentro. I cattivi fuori” si possono trovare:

i testi degli studenti, quello che immaginavano del carcere e quello che hanno visto e capito entrando a contatto diretto con la galera e con chi ci vive dentro

le lettere e le testimonianze dei detenuti

il racconto di come gli adulti, genitori, parenti, amici hanno reagito a un progetto così poco “normale”

il punto di vista di insegnanti, operatori, volontari

indicazioni pratiche per avviare un progetto “scuole-carcere”

i consigli di scrittura dello scrittore Carlo Lucarelli, i suggerimenti di una esperta su come realizzare un laboratorio di scrittura autobiografica, il racconto di una esperienza di “immersione” dei ragazzi nella scrittura autobiografica in una scuola e tante altre cose ancora, a dimostrazione che scuola e carcere, quando escono dalla routine, possono dar vita a un confronto che arricchisce un po’ tutti.

Il progetto “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere” è stato gestito dalle associazioni “Il Granello di Senape” e “Tangram” in collaborazione con la Casa di reclusione, grazie al sostegno e al finanziamento dell’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Padova.

 

 

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