Indultini e indulticchi...

 

"Indultini e indulticchi"

di Sergio Segio e Patrizio Gonnella

 

Indulto, sì. Anzi forse, purché lo si precluda ai delinquenti abituali, ai professionisti del crimine, ai sequestratori, ai trafficanti di droga e di esseri umani, ai pedofili, ai terroristi e sovversivi, ai mafiosi. Mentre ben venga l'indulto ai poveri picciotti. Sì, ma allora si deve dimettere il capogruppo Ds in commissione giustizia, a cui è sfuggita questa leggerezza, questo regalo a Cosa nostra. A tal punto è necessario far vedere che si è duri, inflessibili, integerrimi: si deve scendere a due anni.

Tre sono troppi. Occorre avere scontato almeno un quarto della pena. Bisogna non applicare l'indulto alle pene accessorie: e questa è la cartina di tornasole di quanto alle rituali obiezioni e preoccupazioni sulla probabile impennata di reati che conseguirebbe alla concessione di un indulto, avanzate non solo da destra, corrispondono scelte quanto meno incoerenti. Ma forse sarebbe più esatto definirle ipocrite. Le pene accessorie (interdizione legale, interdizione dai pubblici uffici, da una professione o un' arte, impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, esercizio della potestà genitoriale), infatti, sono quelle che, in concreto, molto spesso impediscono a chi esce dal carcere di lavorare e che lo mantengono, anche dopo la reclusione, in una condizione di cittadino dimezzato. Dunque, sono uno dei più potenti fattori che favoriscono la commissione di nuovi reati.

 

EUTANASIA DI UN INDULTO

 

L'indulto, insomma, è stato trasformato a suon di emendamenti in un indulticchio. E così stanno tramontando rapidamente le speranze che all'invocazione del Pontefice per una "riduzione della pena" corrisponda un provvedimento di clemenza da parte del Parlamento degno di questo nome e congruente rispetto alla necessità di sfoltire significativamente il sovrannumero di detenuti.

D'altronde, non è il Papa a governare l'Italia. Siamo un Paese laico e la sicurezza dei cittadini italiani non può essere messa a rischio. Meglio allora puntare sul più piccolo indultino, versione creativa e innovativa dell'indulto, che, nonostante lo stesso nome sembrerebbe indicare il contrario, favorirebbe la scarcerazione, a dire dei proponenti, di più detenuti rispetto all'indulto. Le cifre si sprecano, le chiacchiere anche.

Con l'indultino la pena non si estingue, ma la si sospende per tre anni. A un patto, ossia che durante la sospensione il detenuto stia chiuso in casa, faccia il buono e esca solo per recarsi dalla polizia. La stessa previsione che possa uscirne per lavorare suona più come una beffa che come una reale possibilità. Nel frattempo come campa?

Anche qui, come per le pene accessorie, il legislatore non si pone la domanda. Se non hanno pane, mangeranno croissant. Del resto, non ci si è posti neppure la domanda se gran parte di coloro cui sarebbe in astratto applicabile il beneficio abbiano quella casa dentro cui dovrebbero stare.

Tanto che viene previsto ne debbano avere addirittura due, laddove si dice che l' obbligo di non allontanarsi può essere disposto nel territorio di un comune diverso da quello di abituale dimora. In compenso, viene previsto che gli stranieri debbano lasciare subito l'Italia, pena il riarresto. E viene il sospetto che, forse, saranno proprio gli immigrati i pochi che usufruiranno di tale misura, in sostanza andando così a superare la difficoltà di espellerli per altre vie.

Ma allora ben venga l'amnistia, che tutti i reati porta via. Giammai, altrimenti che fine farebbero i processi a Berlusconi, Previti e Dell'Utri?

n balletto di queste ultime settimane, il dibattito pieno di timidezze e riserve, la pochezza delle argomentazioni, hanno ridotto e svilito la stessa idea di atto di clemenza, per sua natura generale e universale, a un pasticcio, a un gioco al ribasso, con il retropensiero evidente di molti gruppi parlamentari di mettersi nelle condizioni di dare la colpa all' altro qualunque cosa accada, passi o no la clemenza, in una delle sue possibili forme originarie o originali. Nulla di nuovo: è lo stesso gioco, obiettivamente unico, cui assistemmo nell'anno del Giubileo e i cui effetti furono un'impennata storica dei suicidi dietro le sbarre, come documentato dalla ricerca di Luigi Manconi (http://www.abuondiritto.it).

 

LE NECESSITÀ

 

Un gesto di clemenza è tale se non fa figli e figliastri, se taglia e toglie a tutti un pezzo di galera. n punto di partenza, indulto o sospensione della pena che sia, deve essere il seguente: la riduzione di parte della detenzione deve valere per tutti, a prescindere dalla durata della carcerazione. Non si può temere la riduzione di tre anni per una persona condannata a venti o ventiquattro. Clemenza è tale se non esclude nessuno. Altrimenti la clemenza si trasforma impropriamente in premialità.

L'indulto o la sospensione della pena, affinché abbiano reale portata deflativa, non devono avere preclusioni soggettive e oggettive. Escludere, come è stato invece previsto, i delinquenti abituali, professionali o per tendenza (una definizione, questa, culturalmente illuminante...), significa ridurne di molto l'applicazione. In carcere, infatti, ci si va per i cosiddetti dieci comandamenti laici, a cui si affida la nostra giustizia penale. I tossicodipendenti, gli scippatori, molti piccoli criminali sono plurirecidivi. Vanno in galera sempre per la stessa ragione, spesso sono etichettati come delinquenti abituali. E se si considera che isoli tossicodipendenti sono il 27% circa dei detenuti, si può intuire quanto tali preclusioni siano discriminatorie e depotenzino la portata di un qualsiasi provvedimento di clemenza o di sospensione della pena.

 

LE CIFRE

 

Al 31 ottobre scorso, risultavano detenute 56.733 persone contro una capienza regolamentare di 41.730. Ben 15 mila persone in più rispetto ai posti letto a disposizione. n 31 dicembre del 2001 erano detenute nelle carceri italiane 55.275 persone. Nel 2000, anno in cui è partita la prima campagna giubilare per l'amnistia e l'indulto, i detenuti erano fra i 53 e i 54 mila, mentre all'inizio del 1999 erano 49 mila. La crescita in soli tre anni è stata dunque di 7 mila unità. Rispetto a questi numeri, a un sistema penale governato da un codice con settant'anni di età, con pene edittali fra le più lunghe di Europa, alla sopravvivenza della pena dell'ergastolo che trascina tutte le altre verso l'alto, oggi un atto di clemenza pieno e vero è un atto di giustizia sostanziale.

Ecco perché la sospensione della pena proposta è insoddisfacente: pesche segnata da limiti ed esclusioni, con passi indietro rispetto all'attuale impianto delle misure alternative. La sospensione della esecuzione della pena è di fatto una misura alternativa, in questo caso concessa automaticamente, ma che non si sottrae alle ambiguità e alle contraddizioni di tutto il sistema delle misure alternative, al binomio premio-punizione che le governa. Altrimenti non si spiegherebbe il perché vengano esclusi dalla sua applicazione coloro che sono sottoposti (e addirittura che lo siano stati nei tre anni precedenti l'entrata in vigore della legge) al provvedimento di sorveglianza particolare di cui all'articolo 14-bis dell'ordinamento penitenziario, ossia i detenuti definiti pericolosi dall'amministrazione penitenziaria.

Un provvedimento di clemenza utile e serio è quello capace di riportare la capienza delle carceri entro i suoi limiti regolamentari. Deve poter far uscire almeno 15 mila persone. Circa 18 mila sono i detenuti che hanno un residuo pena inferiore ai 3 anni. Ciò significa che non vi devono essere esclusioni oggettive o soggettive all'indulto pieno.

Amnistia e indulto sono fra loro intimamente correlate. L'indulto funziona se c'è contestualmente un provvedimento di amnistia. Oggi, in via straordinaria, bisogna intervenire sia sul sovraffollamento carcerario sia su quello giudiziario. In tal modo si evita il rischio che alla riduzione di pena non si accompagni la contestuale estinzione dei reati.

Una persona condannata a meno di tre anni di carcere per un fatto compiuto prima del 30 giugno 2001, il cui processo non sia ancora concluso alla data di entrata in vigore della legge, non sconterà la pena detentiva ma subirà comunque un inutile processo, che si svolgerà altrettanto inutilmente in quanto la pena andrà estinta. Con l'amnistia decine di migliaia di cause pendenti per piccoli reati potrebbero estinguersi, consentendo alle procure e ai tribunali di concentrarsi su questioni di maggiore spessore.

Infine, il 29 gennaio è divenuto (finalmente) pubblico il rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura relativo a visite ispettive di sette e tre anni fa, effettuate negli istituti di pena e nelle stazioni di polizia italiane. A parte lo scandalo di un Paese incapace di dare risposte rapide ed effettive a organismi ispettivi internazionali, c'è da fare una considerazione di merito.

La questione del sovraffollamento era presente sin dal 1996, anno della visita ad hoc a San Vittore. E il Comitato la ha ritenuta assai grave, tanto da giustificare una possibile sanzione per il governo italiano; l'accusa è pesante: le carceri sovraffollate sono causa di trattamenti inumani e degradanti. La clemenza piena e incondizionata sarebbe quindi una risposta, seppur tardiva, anche agli ispettori europei.

 

 

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