Intervista ad Alessandro Margara

 

"Ma l’indultino non servirà"

 

Il Manifesto, 3 agosto 2003

 

L’indultino? La sua efficacia è tutta da valutare. È piuttosto negativo il giudizio espresso a caldo da Alessandro Margara sul provvedimento di clemenza che dovrebbe alleviare il sovraffollamento carcerario.

 

Lei è da sempre attento ai problemi del carcere e alle politiche che lo riguardano. Che ne pensa dell’indultino?

Il percorso parlamentare della legge è stato così travagliato che alla fine non è facile capire cosa si sia ottenuto. Il risultato finale mi sembra molto limitato. Rispetto al testo di partenza le modifiche effettuate dalle camere hanno portato a numerosi passi indietro, innanzi tutto i controlli successivi alla scarcerazione e l’astensione da ulteriori reati per i cinque anni successivi. Dubito che sarà uno sconto di pena richiesto da molti detenuti, anche se fare dei numeri adesso mi sembra molto difficile. Mi sembra che si sia insistito molto sui singoli reati, come la pedofilia, escludendo perfino delitti altrettanto gravi.

 

Molti lanciano l’allarme per lo stato in cui versano i tribunali di sorveglianza, che dovranno valutare le richieste di "indultino" da parte dei detenuti. La situazione è così drammatica?

Assolutamente sì, mancano sia il personale che le risorse. Basti pensare che le domande inevase per accedere ai benefici della legge Simeone sono ben 70.000, l’equivalente di due anni di lavoro. E poi questa legge è stata approvata proprio nel periodo peggiore, quando gli uffici sono più sguarniti e privi di personale. Mi auguro quindi che il ministro Castelli, anche se il suo partito è stato contrario alla legge, esaudisca le inevitabili richieste di aiuto che verranno dai tribunali.

 

Come funziona in concreto l’indultino?

Il detenuto o il suo avvocato presentano una domanda al tribunale di sorveglianza. Ma non è chiaro come il magistrato debba formare il fascicolo relativo. Il giudice deve solo controllare se il detenuto rientra nei requisiti della legge, non entrando nel merito, ma non sempre è facile ricostruire la storia di una persona e reperire tutti i dati.

 

Secondo alcuni l’indultino è una norma incostituzionale. Lei che ne pensa?

C’è la possibilità che qualche magistrato sollevi la costituzionalità della legge, ma spero che questo non avvenga perché significherebbe bloccare tutto.

 

Le carceri sono affollate al limite della tollerabilità. Perché?

Nonostante i grandi proclami e gli appelli alla clemenza, si continua ad avere sempre più gente in carcere. L’idea di elevare le pene nei confronti della microcriminalità è molto diffusa. Venti anni fa si diceva che sui problemi della detenzione al "società politica" era più avanti della "società reale". Negli ultimi anni però abbiamo assistito a un vero regresso. Mi auguro che questa tendenza cambi al più presto, perché costruire solo nuove carceri non servirebbe a nulla. Le misure alternative alla detenzione invece risolverebbero molti di questi problemi. Aumentare i tassi di detenzione oggi è inaccettabile.

 

Proprio sulle misure alternative si registra un grande ritardo politico e di risorse. Qual è il suo giudizio?

La parte finale della pena è la più delicata, quella più vicina al reinserimento nella società, va organizzata con misure alternative. Se si passano 20 ore al giorno in cella a non fare niente come si può pensare di uscire e far qualcosa? Le misure alternative esistono e possono articolarsi in attività molto diverse, ma non si riesce a renderle effettive. Vuoi per mancanza di risorse vuoi per mancanza di volontà.

 

Come giudica quindi le attuali politiche sul carcere?

Lo dico chiaramente: l’attuale politica sul carcere è una non politica. La legge Smuraglia sul lavoro dei detenuti è sostanzialmente inapplicata, l’assistenza sanitaria è un inferno. Ma il mondo politico non ha interesse a superare questi problemi. Anche a sinistra c’è una grande sottovalutazione di queste questioni. Anzi, l’inizio della crisi risale proprio ai governi dell’Ulivo. Anche allora si assumevano solo agenti di polizia penitenziaria, senza assistenti sociali.

 

Lei è favorevole a un’amnistia o un indulto generalizzati?

Osservo che il legislatore vi ha rinunciato. Ma questi strumenti, pur utili, sono dei palliativi. Oltre alle misure alternative bisogna insistere sulla depenalizzazione dei reati. Bisogna ammettere che per alcuni delitti il carcere non è la soluzione.

 

Per esempio?

I tossicodipendenti. Gran parte della responsabilità per l’affollamento delle carceri è dovuta alla legge Jervolino – Vassalli del 1990. Credo si debba rivedere, togliendo i tossicodipendenti dalle carceri, anche se mi sembra che l’orientamento del governo sia di segno opposto.

 

Uno degli aspetti più criticati a sinistra sull’indultino riguarda l’espulsione delle detenute madri extracomunitarie. Che ne pensa?

Ogni detenuta madre, di qualsiasi nazionalità, ha diritto al differimento della pena. Questo lo afferma non un giurista democratico ma il codice Rocco. Come può il giudice disporre un’espulsione se si deve scontare una pena, sia pure differita? Infatti, in barba alla legge Bossi – Fini, molti tribunali non la applicano per le pene sotto i due anni. La legge è sconclusionata e piena di buchi normativi. Lo stesso ministero dell’interno ha chiarito che un extracomunitario che deve scontare una pena è legalmente presente nel nostro paese e quindi, se usufruisce di misure alternative, può avere un lavoro, una casa ed essere affidato ai servizi sociali. Esattamente come tutti gli altri.

 

 

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