Suor Gervasia

 

Suor Gervasia: "Qui dentro ci sono gli uomini migliori..."

 

Corriere della Sera, 13 novembre 2002

 

"Posso dire una cosa?". La seduta del consiglio comunale è ben avviata, hanno parlato le autorità, i secondini tengono a freno i giornalisti che vogliono parlare con lo speciale pubblico di quest’assemblea. È un’interruzione non prevista, quella di suor Gervasa. Piccola, tutta nera nel suo vestito da suora. Si fa avanti sul palco e nel teatro s’alza un’ovazione.

È più amata del cappellano, è la mammetta di tutti i carcerati. Parla vivace e forte con un accento del Nord, lei che è nata sul Garda, a Desenzano ben 86 anni fa. Si vanta di essere la gemella di John Kennedy, stesso giorno stesso mese stesso anno. Da vent’anni, tutte le mattine presto, arriva con il bus a Rebibbia a portare conforto ai suoi tanti figli.

"È stata un’esperienza straordinaria - quasi urla ai presenti, attoniti - ho conosciuto tante persone che se è vero che hanno sbagliato mi hanno rivelato una grande generosità, un’umanità che non ho trovato fuori di qui".

Le sue parole suscitano commozione, i carcerati urlano "brava". Suor Gervasa continua di slancio: "Ho assistito a gesti di altruismo straordinari, di solidarietà rara nella società. Non bisogna fare di ogni erba un fascio, bisogna saper distinguere...". In tutta la riunione, nessuno otterrà tanti applausi. "Ahò, vacce te al Parlamento" urla un detenuto. La nera monachella si avvia alle conclusioni ricordando "gli sbaciucchiamenti" che l’accompagnano quando lascia la casa penale. E chiude con spirito: "La sera, quando assisto alla messa, mi rivolgo al Signore e gli dico: Ti ringrazio per tutti questi uomini che mi hai dato...".

Scelti dal direttore di Rebibbia tra coloro che hanno fatto richiesta di partecipare alla storica assemblea, i detenuti seguono gli interventi non risparmiando commenti. "È una cosa molto positiva per noi - dice Domenico Saiu, 33 anni -. Ma vogliamo fatti non parole. In passato le cose qua dentro erano migliori, l’atmosfera era meno pesante. Oggi tante conquiste sono sparite. Noi abbiamo sbagliato, ma vogliamo avere modo di reinserirci nella società". "Questa riunione? È una cazzata" sbuffa un altro, insofferente delle parole dell’amico sardo

"Perché non dite che siamo in venti in una cella da quattro?" protesta un giovanottone con lo sguardo amaro. Le guardie carcerarie, divise blu, si affannano a impedire il contatto tra stampa e detenuti.

"Queste sono solo parole" butta via l’uomo dai capelli e dall’anima grigi. Il consigliere di Rifondazione Nunzio D’Erme si presenta sul palco con la sua parlata romana dicendo di essere "un ex detenuto". I carcerati lo ascoltano dunque come fosse uno di loro. Il sovraffollamento, le riforme, un atto di clemenza: in fondo chiedono tutti le stesse cose, consiglieri, detenuti, autorità. Da fuori, dal braccio G 12, uno dei più "duri", si sente battere forte sulle inferriate. Thomas, 29 anni, omicidio preterintenzionale, chiede al sindaco che lascia l’aula: "Dottor Veltroni, ma quando esco, dove vado a vivere se non ho una casa?".

 

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