Ciampi: "Dignità calpestata"

 

"Dignità calpestata"
Ciampi denuncia le condizioni di vita nelle carceri

 

Il Manifesto, 25 ottobre 2002

 

Forte e chiaro. In visita al carcere di Spoleto, loda le sue condizioni, però aggiunge subito che la situazione non è certo uguale altrove. "Qui - dice - i principi della Costituzione, del rispetto della dignità umana e del recupero del detenuto sono applicati. Ma non è cosi ovunque nella realtà carceraria. Un trattamento penitenziario appropriato ha bisogno di strutture, di spazi, di personale. Condizioni di cui non si dispone in modo sufficiente". Vuole dire, chiarisce lo stesso Carlo Azeglio Ciampi, che "il sovraffollamento delle carceri, costituisce l’ostacolo principale alla messa in opera di strumenti di riabilitazione capaci".

Ma Ciampi non si limita a denunciare le condizioni in cui sono costretti a vivere 55 mila 881 detenuti (negli spazi che potrebbero ospitarne al massimo 41 mila 798). Interviene anche sulla funzione della pena in una società democratica, e si lancia in un’appassionata difesa delle misure alternative alla detenzione.

"La privazione o la limitazione dei diritti fondamentali - ricorda - deve avvenire, come vuole la Costituzione, nel rispetto della dignità umana e offrire al detenuto le condizioni per il suo recupero morale e il suo futuro reinserimento sociale. Le pene sospendono il condannato dalla società, non lo escludono da essa". E in questa cornice, prosegue, "le misure alternative alla detenzione costituiscono strumenti irrinunciabili".

Non si tratta di una facile esibizione di buoni sentimenti. In una situazione in cui la funzione della pena finalizzata al reinserimento dei detenuti, viene negata ogni giorno nei fatti e spesso anche nelle parole, in cui le misure alternative sono prese continuamente a bersaglio in nome della "certezza della pena", le parole del capo dello stato sono un gesto politico preciso, e di quelli pesanti. Non a caso, prendendo la parola subito dopo, il guardasigilli Castelli mostra tutt’altra disposizione.

Difende a spada tratta il sistema carcerario italiano. Attacca i "troppi che, strumentalizzando un disagio reale, hanno cercato di dipingere questo mondo con termini del tutto inaccettabili, come inferno e lager". Il sovraffollamento, ammette il ministro leghista, è in effetti "un problema ancora irrisolto", assicura tuttavia che "i penitenziari italiani sono all’altezza di quelli dei paesi più avanzati". Per quel che lo riguarda, la soluzione del problema denunciato da Ciampi è semplice: "apertura di nuovi penitenziari e ristrutturazione dei più vecchi".

Il suo compagno di partito Roberto Calderoli, capogruppo al senato, è più sbrigativo: "Per risolvere il sovraffollamento basterebbe rispedire a casa i detenuti stranieri. L’indulto determinerebbe solo l’improvvisa uscita di una marea di delinquenti".

Di indulto Ciampi non aveva parlato, per non invadere il campo d’azione del Parlamento, ma il logico sbocco del suo intervento è quello. A rilanciare la palla immediatamente è la pattuglia di avvocati di Forza Italia: Taormina, Pecorella, presidente della commissione Giustizia della camera, Saponara, Biondi. Chiedono tutti un indulto in tempi rapidi. Identica richiesta avanza l’ala sinistra dell’Ulivo, i Verdi e il correntone.

I diessini sono più prudenti. Quando erano al governo, si erano opposti all’indulto per paura di un ritorno d’immagine negativo in prossimità delle elezioni. Nutrono ancora la stessa paura, appena attenuata. "L’indulto - dichiara la responsabile della giustizia Anna Finocchiaro - è praticabile a due condizioni: la prima è che ci sia una responsabilità di tutte le forze politiche, la seconda è che l’indulto sia accompagnato da un impegno serio del governo affinché non si riproducano le condizioni odierne entro pochi anni".

In realtà, le sorti dell’indulto dipendono in larga misura da un passaggio precedente: la proposta di modifica costituzionale, che riporta la maggioranza necessaria per varare l’indulto da quella qualificata di due terzi a quella semplice della metà più uno.

La modica sarà in aula il prossimo 18 novembre.

In commissione Affari costituzionali la Quercia si è astenuta, motivando la scelta con il rischio di affidare alle maggioranze in carica il potere di scegliere di volta in volta su quali reati intervenire con l’indulto. In aula la maggioranza semplice basterebbe a varare la modifica (anche se, in mancanza dei due terzi, la questione potrebbe essere poi sottoposta a referendum). Ma dal momento che quasi certamente la Casa delle libertà non voterà compatta a favore della modifica, le sorti della legge, e quindi dell’indulto, rischiano fortemente di dipendere dal coraggio politico della Quercia.

 

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