Corte Costituzionale n° 278/2005

 

Indultino è applicabile anche ai condannati

ammessi alle misure alternative

Corte Costituzionale - Sentenza 15 luglio 2005, n° 278

 

Altalex, 19 luglio 2005

La sentenza in pdf (documento scaricabile)

 

È incostituzionale l’art. 1, comma 3, lett. d), della l. 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui non consente la concessione del c.d. "indultino" ai condannati che siano stati ammessi alle misure alternative alla detenzione.

Ad avviso della Consulta, la disposizione determina "una irragionevole disparità di trattamento fra il condannato che, perché "meritevole", è stato ammesso a misure alternative alla detenzione e il condannato che - o perché "immeritevole" o perché non versava nelle condizioni oggettive per avanzare la relativa richiesta - non è stato ammesso al godimento di tali misure, dal momento che il primo non può godere del beneficio della sospensione condizionata della pena residua, mentre il secondo ottiene prima la sospensione della pena, e poi, se non commette entro cinque anni delitti non colposi per i quali riporti una condanna non inferiore a sei mesi di detenzione, l’estinzione della pena stessa".

Nell’occasione, il Collegio precisa come è bensì vero che "rientra nella discrezionalità del legislatore modulare in vario modo i benefici da concedere ai condannati, con l’unico limite della non manifesta irragionevolezza, ma questo limite, nella specie, risulta violato, non potendo la circostanza dell’ammissione o meno a misure alternative alla detenzione costituire un discrimine per il godimento del c.d. "indultino", e ciò soprattutto ove si tenga presente che di quest’ultimo verrebbero a godere condannati ritenuti non meritevoli di misure alternative e non anche quelli che sono stati giudicati meritevoli di tali misure".

Repubblica Italiana - Corte costituzionale

Sentenza 15 luglio 2005, n. 278

 

In nome del popolo italiano la Corte Costituzionale ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni) promosso con ordinanza del 5 aprile 2004 dal Tribunale di sorveglianza di Venezia sul reclamo proposto da Lisa Ghin, iscritta al n. 816 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza del 5 aprile 2004, il Tribunale di sorveglianza di Venezia - in sede di reclamo proposto da persona condannata avverso provvedimento del giudice di sorveglianza - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

Riferisce il rimettente che il Magistrato di sorveglianza di Venezia aveva negato alla condannata il beneficio della sospensione condizionata della parte finale della pena detentiva, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 207, stante l’ammissione della stessa alla misura alternativa della detenzione domiciliare.

Ritiene il rimettente che corretta risulta l’interpretazione data dal Magistrato di sorveglianza di Venezia alla disposizione di cui all’art. 1, comma 3, lettera d) della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui non consente la concessione del cosiddetto "indultino" ai condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, in quanto tra tali misure è da considerarsi compresa anche la detenzione domiciliare, che è per alcuni aspetti misura detentiva, ma è comunque alternativa al carcere.

Andrebbe infatti considerato che l’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 165 del 1998, comprende espressamente la detenzione domiciliare tra "le misure alternative alla detenzione" in carcere. Deve, pertanto, ritenersi che l’ammissione alla detenzione domiciliare, attuale al momento della decisione del magistrato di sorveglianza, precluda la concessione della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena. Una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, non appare ragionevolmente sostenibile, per le esposte ragioni. Ritiene, tuttavia, il giudice a quo che la disposizione, così formulata e intesa, attribuisca al sistema una connotazione estremamente criticabile sotto il profilo della razionalità e costituzionalità, e che pertanto debba essere sollevata d’ufficio la questione di legittimità costituzionale della norma, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, ravvisandosene la rilevanza e la non manifesta infondatezza.

Rilevante è la questione ai fini della pronuncia sul proposto reclamo, essendo ineliminabile l’applicazione della norma nell’iter logico-giuridico che il rimettente deve percorrere per la decisione, trovandosi la condannata nelle condizioni previste dall’art. 1 della legge n. 207 del 2003 per l’ammissione all’"indultino", e a ciò ostando solo la perdurante ammissione alla detenzione domiciliare.

In punto di non manifesta infondatezza, osserva il giudice rimettente che il nuovo istituto, introdotto nel sistema dalla legge n. 207 del 2003, di difficile inquadramento sistematico, è connotato dalla tendenziale automaticità della concessione, non essendo demandato al giudice di sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla meritevolezza del beneficio, né sulla sua idoneità rieducativa e preventiva, ma esclusivamente l’accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimità previsti dalla legge; da qui le evidenti analogie della sospensione condizionata con la misura clemenziale dell’indulto, con la quale ha anche in comune la disciplina della revoca a causa della commissione di un delitto non colposo entro il termine previsto dalla legge, nonché l’estinzione della pena nel caso opposto. D’altra parte, il cosiddetto "indultino" ha come contenuto una serie di obblighi e prescrizioni in gran parte mutuati dalla più ampia delle misure alternative.

 

2.- È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

Secondo l’Avvocatura, infatti, il c.d. "indultino" avrebbe finalità di deflazione carceraria. È dunque logico che da tale beneficio siano esclusi coloro che, già godendo di misura alternativa alla detenzione, siano estranei al regime detentivo carcerario.

Coloro che usufruiscono del beneficio di cui alla legge n. 207 del 2003 vengono a trovarsi in un regime di libertà limitata del tutto analogo a quello cui è sottoposto colui che usufruisce di una misura alternativa alla detenzione.

Inoltre, il sovraffollamento delle carceri ostacola gravemente la funzione rieducatrice della pena: peraltro la problematica rieducativa è del tutto estranea ad un istituto diretto a sospendere l’esecuzione della pena. In ogni caso sono previste delle prescrizioni (la cui trasgressione dà luogo alla revoca della sospensione) che costituiscono una remora al compimento di nuovi reati e svolgono dunque una funzione rieducativa, sia pure in senso lato.

 

Considerato in diritto

 

1.- Il Tribunale di sorveglianza di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), il quale prevede come causa ostativa del beneficio previsto dal comma 1 dello stesso art. 1 l’ammissione del condannato ad una misura alternativa alla detenzione, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per l’irrazionalità della disposizione, nonché per violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, perché la pena non avrebbe alcuna funzione rieducativa o preventiva, non avendo il giudice di sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla concessione del beneficio.

 

2.- La questione è fondata.

 

La disposizione, come rileva il giudice a quo, determina una irragionevole disparità di trattamento fra il condannato che, perché "meritevole", è stato ammesso a misure alternative alla detenzione e il condannato che - o perché "immeritevole" o perché non versava nelle condizioni oggettive per avanzare la relativa richiesta - non è stato ammesso al godimento di tali misure, dal momento che il primo non può godere del beneficio della sospensione condizionata della pena residua, mentre il secondo ottiene prima la sospensione della pena, e poi, se non commette entro cinque anni delitti non colposi per i quali riporti una condanna non inferiore a sei mesi di detenzione, l’estinzione della pena stessa.

È bensì vero che rientra nella discrezionalità del legislatore modulare in vario modo i benefici da concedere ai condannati, con l’unico limite della non manifesta irragionevolezza, ma questo limite, nella specie, risulta violato, non potendo la circostanza dell’ammissione o meno a misure alternative alla detenzione costituire un discrimine per il godimento del c.d. "indultino", e ciò soprattutto ove si tenga presente che di quest’ultimo verrebbero a godere condannati ritenuti non meritevoli di misure alternative e non anche quelli che sono stati giudicati meritevoli di tali misure.

L’accoglimento della questione di costituzionalità sotto il profilo dell’art. 3 della Costituzione comporta l’assorbimento delle altre censure sollevate con riferimento all’altro parametro invocato.

 

P.Q.M.

 

la Corte Costituzionale

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni).

 

 

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