Indultino: atti a Corte Costituzionale

 

Indultino: non concedibilità per i semiliberi

Il Trib. di Sorv. di Venezia rinvia gli atti alla Corte Costituzionale

 

Promovimento del giudizio della Corte Costituzionale n° 169

 

Ordinanza emessa il 15 dicembre 2004 dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia sull’istanza proposta da Bergamo Gianfranco Ordinamento penitenziario - Sospensione condizionata dell’esecuzione della parte finale della pena detentiva - Inapplicabilità del beneficio ai condannati ammessi alla semilibertà - Irragionevole disparità di trattamento rispetto ai condannati non ammessi ad una misura alternativa o che abbiano subito la revoca, per fatto colpevole, della stessa - Violazione del principio della finalità rieducativa della pena. - legge 1° agosto 2003, n° 207.

 

Il Tribunale di Sorveglianza

 

Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento nei confronti di Bergamo Gianfranco, nato a Venezia il 7 agosto 1942, residente a Venezia Castello 2292, sul reclamo avverso il provvedimento n. 791/2003 emesso in data 10 settembre 2003 dal Magistrato di sorveglianza di Venezia, con il quale è stata dichiarata inammissibile l’istanza di sospensione condizionata dell’esecuzione della pena, in relazione alla pena determinata con provvedimento di cumulo emesso in data 12 novembre 2002 dalla Procura generale della Repubblica di Venezia.

 

Motivazione

 

Con ordinanza n. 791/2003 emessa in data 10 settembre 2003, il Magistrato di sorveglianza di Venezia ha dichiarato inammissibile l’istanza di sospensione condizionata della pena presentata dal condannato, ritenendo non espiata la metà della pena inflitta, e inoltre sussistente la condizione ostativa prevista dall’art 1 punto 3 lett. d) della legge 1° agosto 2003, trovandosi l’interessato in regime di semilibertà.

Avverso il provvedimento ha proposto reclamo il difensore, lamentando l’erroneo assunto della mancata espiazione della metà della pena, avendo il condannato ottenuto il condono della pena di anni due di reclusione ex d.p.r. n. 394/1990, e dovendosi considerare come estinta la relativa pena.

Ha censurato, inoltre, il difensore, l’interpretazione della norma di cui all’art. 1 punto 3 lett. d) della legge n. 207/2003, per avere il Magistrato di sorveglianza ritenuto di includere la semilibertà nelle "misure alternative alla detenzione" ostative alla concessione del beneficio. Sostiene la difesa che la semilibertà è misura detentiva, e pertanto non può essere ad essa riferito il divieto di concessione della sospensione condizionata ai condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, non essendo, a tal fine, sufficiente la mera inclusione della relativa disciplina nel capo VI della legge n. 354/1975 intitolato "misure alternative alla detenzione". In subordine, il difensore ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionalità della norma, ove interpretata nel senso propugnato nella gravata ordinanza, per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui preclude la concessione del beneficio al condannato ammesso alla semiliberta. Il primo motivo di reclamo è fondato, risultando avvenuta l’espiazione della metà della pena determinata con il titolo esecutivo, tenuto conto dell’estinzione della pena di anni due di reclusione per effetto del condono già concesso al condannato ex d.P.R. n. 394/1990.

Nel resto, invece, ritiene il Collegio che il gravame non meriti accoglimento, in quanto corretta risulta l’interpretazione data dal Magistrato di sorveglianza di Venezia alla disposizione di cui all’art. 1 punto 3 lett. d) della legge n. 207/2003, nella parte in cui non consente la concessione del cosiddetto "indultino" ai condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, in quanto tra tali misure è da considerarsi compresa anche la semilibertà, che è si misura detentiva, ma è comunque alternativa all’ordinario regime carcerario.

Depone in tal senso, in primo luogo, la collocazione sistematica della disciplina della semilibertà nel titolo I capo VI dell’ordinamento penitenziario, che è appunto intitolato "misure alternative alla detenzione"; è pur vero che l’argomento sistematico non è decisivo, posto che nel medesimo capo è inserita anche la disciplina della liberazione anticipata che, pur essendo un beneficio premiale, non è una misura alternativa, tuttavia va considerato che la semilibertà, oltre alla collocazione sistematica, ha in comune con le altre misure alternative la finalità della rieducazione e del reinserimento sociale del condannato, nonché aspetti salienti di disciplina, quali il procedimento di concessione, l’apprezzamento discrezionale da parte del Tribunale di sorveglianza in merito all’idoneità preventiva e rieducativa, l’assoggettamento a prescrizioni e a obblighi, la procedura di sospensione e revoca, di estensione a titoli sopravvenuti e di cessazione per il venir meno dei requisiti di legittimità previsti dalla legge. L’interpretazione qui sostenuta, inoltre, è coerente con la ratio di deflazione carceraria, diretta ad attenuare il problema del sovraffollamento negli istituti di pena, ispiratrice della legge n. 207/2003, posto che i semiliberi sono assegnati ad appositi istituti o ad apposite sezioni autonome di istituti ordinari (art. 48 II co. o.p.), e di fatto per prassi trascorrono in istituto solo le ore notturne (o in limitati casi i giorni festivi), di talché l’applicazione della misura produce un’attenuazione della detenzione piena, con conseguente espansione degli spazi di libertà, e pertanto l’esigenza deflattiva è meno avvertita.

Ulteriore argomento è, poi, costituito dall’interpretazione letterale dell’art. 1 punto 3 lett. d) della legge n. 207/2003, che prevede tra le condizioni ostative l’ammissione "alle misure alternative alla detenzione", dovendosi ritenere che l’uso del plurale implichi il riferimento a più misure alternative; qualora dovesse accogliersi la tesi sostenuta dalla difesa, infatti, neppure la detenzione domiciliare, che è misura detentiva, sia pure non carceraria, dovrebbe essere considerata ostativa all’ammissione all’indultino, e pertanto residuerebbe, quale condizione preclusiva, solo l’ammissione all’affidamento in prova. Se la norma avesse voluto riferirsi al solo affidamento in prova al servizio sociale, non si vede perché avrebbe dovuto usare un’espressione così equivoca, e non, invece, indicare la sola misura alternativa ostativa, o le sole misure ostative, ove si ritenga di includere nella previsione della norma anche la detenzione domiciliare e non la semilibertà.

Va, infine, considerato che espressamente l’art. 656 comma 5 c.p.p., introdotto dalla legge n. 165/1998, comprende la semilibertà tra " le misure alternative alla detenzione" da intendere, nonostante l’impropria definizione legislativa, come misure alternative all’ordinario regime di esecuzione detentiva: in tal senso, depone la lettera della norma citata nella parte in cui disciplina la richiesta di concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50 comma 1 della legge n. 354/1975, e di cui all’art. 94 d.P.R. n. 309/1990, elencando a parte, con la separazione dell’avverbio "ovvero", il solo beneficio previsto dall’art. 90 d.P.R. n. 309/1990, al quale è comunque esteso il procedimento di accesso ai benefici introdotto dalla legge n. 165/1998.

Non sfugge al Collegio che in alcune occasioni, sia pure a diversi fini e con riferimento a diversi istituti, la Suprema Corte di cassazione ha definito la semilibertà "una particolare modalità di esecuzione della pena detentiva", in tal modo giustificando la differenza di disciplina rispetto all’affidamento in prova al servizio sociale (v. Cass. 30 aprile 1993 n. 1235 con riferimento alla liberazione anticipata, prima che l’istituto venisse esteso con la legge n. 277/2002 anche all’affidamento in prova). A partire dalla riforma dell’ordinamento penitenziario del 1986, però, la disciplina della semilibertà ha subito diverse innovazioni, che hanno indotto anche la dottrina, che pure in passato era concorde nel definire la semilibertà una particolare modalità di esecuzione della pena, o "misura detentiva attenuata", a riconoscere che nel tempo l’istituto ha assunto la dimensione di vera e propria misura alternativa, che giustifica la sua collocazione sistematica nel titolo I capo VI dell’ordinamento penitenziario. Al di là delle definizioni adoperate, la natura giuridica di misura alternativa viene riconosciuta dalla dottrina in particolare alle due tipologie di semilibertà per pene detentive brevi, che nel tempo si sono affiancate alla tradizionale specie destinata alle pene detentive medio-lunghe e all’ergastolo (prevista dall’art. 50 secondo comma prima parte e quinto comma): trattasi della semilibertà per pene inferiori a sei mesi, definita "sanzione alternativa ab origine" (prevista dall’art. 50 primo e sesto comma) e di quella, di maggior rilievo applicativo dopo la legge n. 165/1998, per pene inferiori ad anni tre di reclusione, con funzione "surrogatoria dell’affidamento in prova" (prevista dall’art. 50 secondo comma ultima parte o.p.). All’ultima specie di semilibertà c.d. "surrogatoria dell’affidamento in prova", è stato ammesso l’odierno ricorrente, in relazione a una pena inferiore ad anni tre di reclusione, con ordinanza n. 1965/2003 datata 1° luglio 2003 emessa da questo Tribunale di sorveglianza, il quale, pur non ritenendo sussistenti in presupposti per la concessione dell’affidamento in prova, nel rigettare la relativa istanza ha ritenuto il condannato meritevole della semilibertà, avendo il condannato "avviato un positivo percorso di reinserimento sociale".

Per le esposte ragioni, risultando il condannato ammesso a una misura alternativa, sussiste la condizione ostativa prevista dall’art. 1 punto 3 lett. d) della legge n. 207/2003. Una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, non appare sostenibile senza forzature del dato normativo. Ritiene tuttavia, il Collegio, che l’eccezione di illegittimità costituzionale avanzata dalla difesa sia rilevante e non manifestamente infondata, in quanto la disposizione in questione, così formulata e intesa, attribuisce al sistema una connotazione estremamente criticabile sotto il profilo della razionalità e costituzionalità.

Rilevante è la questione ai fini della pronuncia sul proposto reclamo, essendo ineliminabile l’applicazione della norma nell’iter logico-giuridico che questo Tribunale deve percorrere per la decisione, trovandosi il condannato nelle condizioni previste dall’art. 1 della legge n. 207/2003 per l’ammissione all’indultino, e a ciò ostando solo la perdurante ammissione alla semilibertà. Non si ritiene, invece, di ostacolo la disposizione di cui all’art. 7 della legge n. 207/2003 nella parte in cui prevede l’applicabilità del beneficio ai condannati in stato di detenzione o in attesa di esecuzione della pena alla data di entrata in vigore della legge: a parte l’ambiguità del termine "detenzione", che spesso, come innanzi evidenziato, è adoperato in modo improprio, la norma di cui all’art. 7 cit. appare infatti, come norma di chiusura, destinata a individuare il criterio temporale per l’applicazione del beneficio di nuova istituzione, ma non anche ad individuare le condizioni sostanziali, soggettive ed oggettive, per la concessione del beneficio, che sono, invece, disciplinate dall’art. 1 della legge stessa.

In punto di non manifesta infondatezza, si osserva che il procedimento di concessione del nuovo istituto presenta delle evidenti analogie con la misura clemenziale dell’indulto, non essendo demandato al giudice di sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla meritevolezza del beneficio né sull’idoneità rieducativa e preventiva, ma esclusivamente l’accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimità previsti dalla legge. Nella fase esecutiva, invece, l’"indultino" ha come contenuto una serie di obblighi e prescrizioni in gran parte mutuati dalla più ampia delle misure alternative, ovvero l’affidamento in prova al servizio sociale, misura con la quale, il nuovo beneficio condivide altri aspetti di disciplina, quali la sottoscrizione del verbale delle prescrizioni, l’assoggettamento al controllo del Cssa, la competenza del magistrato di sorveglianza sulle modifiche delle prescrizioni e in ordine ai provvedimenti di cui agli artt. 51-bis e 51-ter o.p. (v. il richiamo alle disposizioni in quanto applicabili, di cui all’art. 47 commi 5, 6, 7, 8, 9, 10 della legge n. 354/1975, contenuto nell’art. 4 della legge n. 207/2003).

Le prescrizioni tipiche dell’affidamento in prova non sono particolarmente afflittive sul piano delle limitazioni alla libertà personale, e hanno generalmente come contenuto dei divieti finalizzati a prevenire situazioni potenzialmente criminogene (di frequentare pregiudicati e tossicodipendenti, nonché ambienti controindicati, il divieto di allontanarsi dall’abitazione in ore notturne ecc.), oltre ad obblighi con finalità rieducative. L’ammissione alla semilibertà presuppone, invece, una valutazione discrezionale del Tribunale di sorveglianza sulla idoneità preventiva e rieducativa e sulla meritevolezza del beneficio. Sicuramente più restrittive sono, inoltre, le prescrizioni tipiche della semilibertà, in quanto il semilibero trascorre alcune ore della giornata in istituto, ed è comunque soggetto alla rigorosa osservanza del programma di trattamento, il cui mancato puntuale rispetto può integrare, in caso di assenza ingiustificata dall’istituto per un tempo maggiore di 12 ore, il reato di evasione.

Il condannato ammesso alla semilibertà, però, pur essendo stato ritenuto "meritevole" di tale misura, non può accedere all’indultino, connotato da un regime meno afflittivo della libertà personale. Tale beneficio può, invece, essere concesso ai condannati che non hanno mai ottenuto, pur avendola richiesta, una misura alternativa, in quanto ritenuti dal Tribunale di sorveglianza non meritevoli per la condotta irregolare o connotata da fatti penalmente rilevanti tenuta in libertà o nel corso dell’esecuzione, o per il mancato conseguimento del grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto, o perché ritenuti dotati di una pericolosità sociale non contenibile con le prescrizioni tipiche di una misura alternativa.

Ma vi è di più: il nuovo beneficio introdotto dalla legge 207/2003 può anche, in difetto di esplicita inclusione tra le cause ostative della preclusione disposta dall’art. 58-quater o.p., essere concesso ai condannati che, già ammessi a una misura alternativa, abbiano subito la revoca della misura per violazione di norme di legge o delle prescrizioni.

L’odierno reclamante, pertanto, oggi escluso dall’ammissione al più ampio beneficio stante la concessione della semilibertà, potrebbe, invece, ottenerlo qualora, per fatto colpevole, dovesse subire la revoca della misura per eventuali abusi commessi. Certo non è preclusa la condannato l’ammissione ad altra misura alternativa meno afflittiva: a tal fine, però, dovrà sottostare a una valutazione discrezionale del Collegio, con l’osservanza del procedimento di sorveglianza regolato dagli art. 666, 678 c.p.p., e non della più celere procedura de plano prevista per la concessione dell’indultino. Da qui il contrasto della norma censurata con l’art. 3 Cost., a causa dell’irragionevole disparità di trattamento riservata, da una parte, ai soggetti che si sono dimostrati meritevoli di una misura alternativa e ne hanno osservato correttamente le prescrizioni, e, dall’altra, a coloro che non hanno mai meritato una misura alternativa, o se la sono vista colpevolmente revocare. È pur vero che l’indultino è esposto al rischio di revoca per la commissione di delitti non colposi nel quinquennio dalla concessione, ma il semilibero ben potrebbe preferire correre tale rischio, a fronte di un regime di gran lunga meno affittivo per la durata della pena, e invece non ha la facoltà di optare per il regime che ritiene più adeguato allo stadio rieducativo raggiunto, finché permane l’ammissione alla misura alternativa. Sotto altro profilo, la norma appare in contrasto con il principio di ragionevolezza e di razionale uniformità del trattamento normativo sotteso all’art. 3 Cost., e inoltre con l’art. 27 terzo comma Cost. per la lesione del principio del finalismo rieducativo della pena e del principio della progressività trattamentale.

Come innanzi ricordato, infatti, il tendenziale automatismo previsto dalla legge per la concessione dell’indultino non lascia spazio ad alcuna valutazione discrezionale del giudice in merito all’idoneità rieducativa del beneficio e al raggiungimento da parte del condannato di un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto. Già in passato la Corte costituzionale ha affermato che, pur potendo il legislatore di volta in volta nei limiti della ragionevolezza, far tendenzialmente prevalere l’una o l’altra delle finalità della pena (affittiva, retributiva, rieducativa), nessuna delle finalità assegnate alla pena dalla Costituzione deve, però, risultare obliterata (cfr. Corte cost. Sent. n. 306/1993). In altre sentenze, poi, la Corte ha posto l’accento sul principio della progressività trattamentale che "esprime l’esigenza che ciascun istituto si modelli e viva nel concreto come strumento dinamicamente volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena, non soltanto nei profili che ne caratterizzano l’essenza, ma anche e per i riflessi che dal singolo istituto scaturiscono sul più generale quadro delle varie opportunità trattamentali che l’ordinamento fornisce. Ogni misura si caratterizza, infatti, per essere parte di un percorso nel quale i diversi interventi si sviluppano secondo un ordito unitariamente e finalisticamente orientato, al fondo del quale sta il necessario plasmarsi in funzione dello specifico comportamento serbato dal condannato. Qualsiasi regresso giustifica, pertanto, un riadeguamento del percorso rieducativo, così come il maturarsi di positive esperienze non potrà non generare un ulteriore passaggio nella scala degli istituti di risocializzazione" (v. sul punto, in particolare, Corte cost. sent. n. 445/1997).

Nell’attuale sistema penitenziario, invece, dopo l’introduzione del nuovo beneficio, è ben possibile che un condannato per la sua adesione al trattamento ottenga la detenzione domiciliare o la semilibertà, ma non possa poi ottenere l’ammissione al cosiddetto indultino per la preclusione disposta dall’art. 1 punto 3 lett. d) della legge n. 207/2003, se non dando causa alla revoca della misura in corso, mentre può essere ammesso al beneficio, ed essere automaticamente scarcerato, il condannato che non abbia mai neppure ottenuto la liberazione anticipata per la condotta irregolare, nè l’ammissione ai permessi premio per il ritenuto pericolo di fuga o la mancanza di regolarità della condotta, o per la preclusione disposta dall’art. 58-quater o.p., e men che meno l’ammissione alla detenzione domiciliare o alla semilibertà, con evidente lesione dei principi di ragionevolezza, di finalità rieducativa della pena e di progressività trattamentale. Si impone, pertanto, la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, risultando rilevante e non manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 punto 3 lett. d) della legge n. 207/2003 per contrasto con gli artt. 3 e 27 terzo comma Cost.

 

P.Q.M.

 

Visti ed applicati gli artt. 666, 678 c.p.p., 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, 1 legge n. 1/1948, comma 3 lett. d) della legge n. 207/2003, 48 e ss. o.p.;

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 3 lett. d) della legge n. 207/2003, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma Cost. nella parte in cui non consente la concessione del beneficio della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena ai condannati ammessi alla semilibertà;

Sospende il procedimento e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, riservando la definizione del procedimento all’esito della decisione della Corte adita;

Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;

Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte al condannato, al difensore, al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Venezia;

Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte.

 

Venezia, addì 7 dicembre 2004

 

Il Presidente: Fiscon

Il giudice estensore: Vono

 

 

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