Un'anomala misura alternativa

 

Un’altra anomala misura alternativa

di Ottavio Amodio (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Potenza)

 

Dopo un lungo dibattito nel paese e nel Parlamento dopo l’autorevole intervento di sua Santità Giovanni Paolo II° "la montagna partorì il topolino". Cosa era accaduto? Da tempo si parlava di sovraffollamento delle carceri, delle condizioni al limite della sopravvivenza nelle quali versavano decine di migliaia di detenuti; venne più volte "promesso" un provvedimento di clemenza finalizzato a migliorare la situazione. Le sollecitazioni in tale direzione erano tante.

Finalmente nell’agosto del 2003, veniva emanata la legge n. 207 del 01 agosto 2003 comunemente denominata "indultino" o "condonino" . Ma, la normativa in esame non ha nulla a che vedere con condono o indulto che dirsi voglia.

Non si fa altro che introdurre un’altra anomala misura alternativa alla detenzione della quale possono beneficiare i detenuti che hanno scontato almeno metà della pena inflitta e quando il residuo da espiare non supera i due anni.

La misura non è un condono in quanto il condono elimina, ricorrendo le condizioni, "sic et simpliciter" una parte della pena da scontare, a prescindere da quanto si è scontato e da quanto si deve ancora scontare.

La misura non è un’alternativa alla detenzione, in quanto si applica solo sulla ricorrenza di elementi oggettivi e sulla non ricorrenza di altri elementi oggettivi. Quindi nessun discorso su osservazione e trattamento, nessun discorso su rieducazione e progetti riabilitativi. Ma la misura ripete le caratteristiche di una misura - alternativa in particolare dell’affidamento in prova al servizio sociale - aggravandone però le modalità di esecuzione.

Esaminando la legge nei dettagli si comprenderà il significato della premessa.

All’art 1 si legge: nei confronti del condannato che ha scontato almeno metà della pena, è sospesa per la parte residua la pena nel limite di 2 anni.

All’art 2 si legge: la sospensione non si applica per chi è stato condannato per i delitti di cui all’art. 4 bis O.P., 609 bis quater octies c.p.; per chi è stato dichiarato delinquente abituale, professionale e per tendenza; per chi è stato sottoposto al regime di sorveglianza speciale; per chi è stato ammesso ad una misura alternativa; per chi vi ha rinunziato.

All’art 4 vengono dettate le prescrizioni: obbligo di dimora, obbligo di firma, divieto di espatrio. All’art. 2, comma 5°, si legge : la sospensione condizionata può essere revocata se chi ne ha usufruito commette entro 5 anni un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a sei mesi. Se questi sono i punti fondamentali della legge in esame, essa non ha raggiunto lo scopo che si era prefisso: deflazionare le carceri Italiane.

E invero quale detenuto che ha da scontare meno di due anni e che pertanto può ben essere ammesso all’affidamento dovrebbe richiedere l’applicazione della misura in esame che è ben più restrittiva dell’affidamento stesso? perché dovrebbe sottoporsi a una serie di restrizioni paragonabili a quelle che vengono imposte al libero vigilato, quando con l’affidamento è in pratica libero? e quale detenuto, potendo beneficiare dell’affidamento, dovrebbe richiedere questa misura che per 5 anni lo sottopone alla spada di Damocle della revoca?

L’art. 7 contiene poi una ben strana disposizione :"le disposizioni della presente legge si applicano nei confronti dei condannati in stato di detenzione ovvero in attesa di esecuzione della pena"; i condannati in attesa di esecuzione sono i liberi in sospensione, ex lege n. 165/98 (Legge Simeone). Poiché il testo dice "le disposizioni della presente legge si applicano anche ai condannati in attesa di esecuzione dovrebbe ritenersi che anche per questi ultimi vige la disposizione per cui la misura si applica a chi ha scontato almeno metà della pena: e allora si verrebbe a creare una disparità di trattamento tra chi ha scontato almeno metà della pena e chi non avendo espiato nulla della pena inflittagli, non potrà essere ammesso alla sospensione. Si dirà che chi ha beneficiato della Legge n. 165/98 è già in sospensione e una nuova sospensione non avrebbe significato; ma si può replicare che non si capisce perché il libero in sospensione che ha sofferto una detenzione pari alla metà della pena inflitta (e che comunque è in sospensione) può beneficiare della misura in esame.

Una grave lacuna è poi da evidenziare nella circostanza che nulla la legge dice a proposito del condannato ammesso a una misura alternativa che è stata poi revocata. Potrà beneficiare della sospensione condizionata una volta rientrato in carcere, una volta espiata metà della pena e quando residuano meno di due anni ? la soluzione che pare più coerente col sistema è quella negativa.

Poiché la sospensione condizionale si atteggia come una misura alternativa della quale presenta tutte le caratteristiche, va applicato l’art 58 quater O.P.: divieto di ogni beneficio per un periodo di 3 anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione in carcere o dalla data del provvedimento che ha disposto la revoca.

In conclusione può dirsi che lo scopo voluto, questa volta apertamente, dal legislatore e cioè deflazionare gli istituti penitenziari non è stato raggiunto: poiché il Magistrato provvede alla sospensione solo su richiesta dell’interessato o del suo difensore (art. 2, comma 1) risulta che pochissime sono state le istanze presentate. Nessuno ha, infatti, interesse ad essere sottoposto ad una misura che restringe notevolmente la sua libertà di movimento. Adirà, come di fatto adisce, il Tribunale di Sorveglianza per ottenere una misura meno restrittiva che gli consente di espiare la pena senza eccessivi vincoli con l’ulteriore dato positivo che, una volta estinta la misura per esito positivo della prova, vedrà estinta la pena e gli altri effetti penali della condanna. L’istituto in esame è, pertanto, solo residuale a cui ricorrere solo in caso di esito negativo di altre istanze.

 

 

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