Disciplina generale

 

Misure alternative: disciplina generale

 

Legge Simeone 165/98

 

Questa legge ha riformato l'art. 656 c.p.p. rubricato "Esecuzione delle pene detentive", nonché gli artt. 47 (affidamento in prova ai servizi sociali), 47ter (detenzione domiciliare), 50 (semilibertà) e abrogato il 47bis (affidamento terapeutico in casi speciali, la cui disciplina era già stata implicitamente sostituita dagli art. 90ss. DPR. 309/90).

Lo scopo di questa legge è quello di garantire l'eguaglianza dei soggetti in sede di esecuzione pena, in particolare concedendo a tutti la possibilità di ottenere la sospensione della pena, nonché quello di rendere usufruibile la misure alternative anche ai soggetti immigrati o in generale di rendere più adeguate le misure ai condannati meno abbienti e alla tutela delle condizioni di salute.

L'art. 656 c.p.p. prevede una procedura generale valevole per tutte le misure alternative, secondo la quale il PM dopo aver emesso l'ordine di esecuzione, se la pena detentiva anche se costituente residuo di maggior pena non è superiore a 3 anni, ovvero a 4 nei casi di cui agli artt. 90 e 94 del DPR 309/90, sospende l'esecuzione di tale ordine.

L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono consegnati (interpretato come consegna a mani proprie) al condannato con l'avviso che egli entro 30gg. dal ricevimento dell'avviso può presentare istanza corredata delle indicazioni e della documentazione necessaria, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione (quelle cioè previste dagli artt. 47, 47ter, e 50 L.350/75 e dagli artt. 90 e 94 DPR 309/90)

L'avviso informa altresì che ove non sia presentata l'istanza, l'esecuzione della pena avrà corso immediato.

L'istanza di concessione della misura alternativa deve essere presentata al PM che la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente. Il tribunale decide entro 45 gg. (tale termine non è perentorio; normalmente il tribunale di sorveglianza di Firenze impiega circa 3 mesi per pronunciarsi).

Il 7 comma precisa che la sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di 1 volta anche se il condannato ripropone una nuova istanza di sospensione sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima diversamente motivata.

Questa disposizione si riferisce, per espresso disposto dell'articolo, solo alle misure alternative previste dal capo VI della legge 350/75, e all'art. 90 DPR 309/90; resta quindi escluso da tale previsione l'art. 94 DPR 309/90, nei confronti del quale la sospensione può essere accordata anche più di una volta. Precisiamo che la diversità di disciplina tra art. 90 e 94 in ordine alla possibilità di reiterare la sospensione, non trova in realtà, una ragionevole giustificazione, considerato che la procedura per la concessione delle due misure si rinviene, per entrambe, nell'art. 91 DPR 309/90 che ha creato un sistema specifico, in relazione alla particolare situazione tutelata, che viene ad integrare, per questi due benefici, quello generale previsto dall'art. 656 cpp.

Qualora l'istanza di misura alternativa non sia tempestivamente presentata o il tribunale la dichiari inammissibile ovvero la respinga il PM revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione.

Questa procedura si applica esclusivamente a coloro che si trovano, nel momento dell'emissione dell'ordine di esecuzione, nello stato di libertà. Alcune difficoltà sussistono in caso di soggetti senza fissa dimora, particolarmente per gli immigrati, poiché infatti la consegna dell'ordine e del decreto viene considerata da eseguirsi a mani proprie, la loro irreperibilità sospende l'esecuzione sine die e il termine di 30gg. rimane paralizzato.

Ai sensi del comma 2 dell'art. 656, invece, se il soggetto è già detenuto l'ordine di esecuzione è comunicato al ministro della giustizia e notificato all'interessato.

In questo caso, qualora ricorrano i presupposti previsti per le singole misure, l'istanza di loro concessione può essere presentata in ogni momento dell'esecuzione della pena al tribunale di sorveglianza.

Al fine di non creare disparità di trattamento con i condannati che si trovano in libertà, che beneficiano della sospensione dell'esecuzione della pena disposta dal PM, il comma 4 dell'art. 47 (relativo all'affidamento in prova, ma applicabile per espresso richiamo degli artt. 47ter e 50, alla detenzione domiciliare e alla semilibertà) prevede un'ipotesi di sospensione dell'esecuzione da parte del magistrato di sorveglianza con riferimento ai soggetti detenuti.

Il magistrato di sorveglianza competente, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato quando sono offerte concrete indicazioni in ordine:

  1. alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova

  2. al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione (grave pregiudizio legato non solo allo stato di salute ma anche a prospettive occupazionali, di studio o affettivo-familiari)

  3. al fatto che non vi sia pericolo di fuga.

La sospensione dell'esecuzione della pena opera fino alla decisione del tribunale di sorveglianza cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti e che decide entro 45gg. (termine sempre non perentorio).

Se l'istanza non è accolta riprende l'esecuzione della pena e non può essere accordata altra sospensione quale che sia l'istanza successivamente proposta (47comma 4).

Limiti applicativi delle misure alternative

 

In base allo stesso art. 656, la sospensione prevista al comma 5, non può essere disposta:

  1. nei confronti dei condannati per uno dei delitti di cui all'art. 4 bis della legge 354/75

  2. nei confronti di coloro che per il fatto oggetto della condanna da eseguire si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva.

L'ipotesi di cui alla lett. b) fa espresso riferimento alla sola custodia cautelare per il fatto oggetto della condanna da eseguire, e in tali termini viene interpretato dai pubblici ministeri; può dunque accadere che il soggetto si trovi in custodia cautelare per un titolo di reato e venga emesso ordine di esecuzione per altro reato, il PM, in questo caso, si attiene rigorosamente alla lettera della legge, e sospende l'ordine, se ne ricorrono i presupposti (con la conseguenza pratica che un soggetto detenuto potrà avere più ordini di esecuzione sospesi). È evidente, in queste situazioni, l'importanza del rispetto, da parte dell'organo dell'esecuzione, dell'obbligo di procedere al cumulo quando vi siano più ordini di esecuzioni concorrenti.

La limitazione disposta da questo comma nei confronti dei condannati ex art. 4 bis, non opera, tuttavia relativamente alla sospensione concessa dal magistrato di sorveglianza ex art. 47 comma 4, in quanto quest'ultimo articolo non prevede una simile limitazione.

 

Limitazioni relative all'art. 4 bis della legge 354/75

 

I delitti contemplati da questo articolo possono distinguersi in due categorie.

Categoria A:
  1. delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. (associazione di tipo mafioso), al fine di agevolare l'attività di associazioni di tipo mafioso;

  2. associazione di tipo mafioso (416 bis),

  3. sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);

  4. associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 DPR 309/90)

In relazione a questi reati gli istituti dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio, delle misure alternative alla detenzione di cui al capo VI della legge 354/75 fatta eccezione per la liberazione anticipata, possono trovare applicazione soltanto nei casi in cui i detenuti o internati prestino collaborazione ai sensi dell'art. 58ter o.p.

I benefici possono essere concessi anche a persone la cui collaborazione è oggettivamente irrilevante, sempre che:

siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata;

quando sia stata applicata l'attenuante del risarcimento del danno (art. 62 n.6 c.p.),

oppure quando il soggetto abbia concorso nel reato ai sensi degli artt. 114 o 116 c.p.

oppure nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertato nella sentenza di condanna, renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia;

e infine, in caso di oggettiva impossibilità di collaborazione.

 

Categoria

  1. delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale;

  2. omicidio (art. 575 c.p.)

  3. rapina ex 628 comma 3 c.p. (solo nell'ipotesi in cui sia commessa con armi o da persona travisata o da più persone riunite, ovvero se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di intendere o di agire ovvero se la violenza o la minaccia è posta in essere da persona che fa parte di associazione di stampo mafioso);

  4. estorsione 629 comma 2 c.p. (cioè se commessa con armi o da persona travisata o da più persone riunite ovvero se la violenza consiste nel porre uno in stato di incapacità d'intendere o di agire, ovvero se la violenza o la minaccia è posta in essere da persona che fa parte di associazione di stampo mafioso);

  5. produzione o traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope ex art. 73 DPR 309/90 aggravato ai sensi comma 2 art. 80 (cioè quando il fatto riguarda quantità ingenti di tali sostanze ovvero se le sostanze stesse sono state adulterate o commiste ad altre in modo che risulti accentuata la potenzialità lesiva).

In relazione a questi reati i benefici possono essere concessi solo se non sussistono elementi tali da far ritenere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva.

 

Secondo il recente orientamento della corte di Cassazione il divieto di concessione delle misure alternative alla detenzione, stabilito dall'art. 4bis in relazione a condanne inflitte per determinati reati, non opera per l'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari previsto dall'art. 94 del DPR309/90 (sent. 17/04/98 n.1774), modificando precedenti pronunce orientate in senso affermativo (cfr. sent.4/04/97 n.1023).

Va infine tenuta presente un'importante precisazione della corte di Cassazione (sent.12/05/1999 n.2529), la quale ha stabilito, in conformità ad una precedente sentenza interpretativa di rigetto della corte cost. n.361/94, che nel caso di soggetto sottoposto ad esecuzione di pene cumulate, delle quali alcune soltanto siano state inflitte per delitti che comportano, ai sensi dell'art.4 bis o.p., esclusione o limitazione di misure alternative alla detenzione, il cumulo può essere sciolto ai fini della determinazione del momento in cui, considerata come avvenuta l'espiazione delle pene relative a quei delitti, l'esclusione o la limitazione non devono più operare. Diversamente, infatti, si verrebbe a far dipendere l'applicazione di un trattamento deteriore dalla sola eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico in luogo di più rapporti scaturenti dall'esecuzione delle singole condanne, con l'ulteriore incongruenza che, nel caso di cumulo giuridico, questo, concepito solo per temperare l'asprezza del cumulo materiale, verrebbe a tradursi invece in un danno per l'interessato. Sempre a tale proposito la Corte ha sostenuto che nel caso di cumulo materiale di pene concorrenti, deve intendersi scontata per prima quella più gravosa per il reo, con la conseguenza che, ove si debba espiare una pena inflitta anche per un reato ostativo alla fruizione di benefici (nella specie, associazione per delinquere di stampo mafioso) la pena espiata va imputata innanzi tutto ad esso (sent.22/03/99 n.613).

 

Limite dell'art. 298 c.p.p.: compatibilità tra misura alternativa e misura cautelare

 

L'art.298 c.p.p. stabilisce che l'esecuzione di un ordine con cui si dispone la carcerazione nei confronti di un imputato al quale sia già applicata una misura cautelare personale per un altro reato ne sospende l'esecuzione salvo che gli effetti della misura siano compatibili con l'espiazione della pena. La custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena o di internamento per misura di sicurezza ex art. 297 comma 5 ai soli effetti del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare stessa (quindi relativamente a questo termine la sospensione non opera). La sospensione non opera quando la pena è espiata in regime di misure alternative alla detenzione.

Dall'interpretazione di detto articolo si ricava che se un soggetto diviene definitivo per un reato e contemporaneamente è imputato sottoposto a misura cautelare, per la concessione di misure alternative risulta importante verificare se la loro esecuzione sia compatibile o meno con la misura cautelare; a tale riguardo si distingue:

  1. misure cautelari non detentive: è ammessa la compatibilità, e dunque non vi sono ostacoli alla contemporanea concessione di una misura alternativa

  2. misure cautelari detentive: in questo caso si ritiene che le due misure siano incompatibili, con l'importante precisazione che è assolutamente esclusa la concessione della misura alternativa qualora il soggetto sia sottoposto a custodia cautelare in carcere (incompatibilità assoluta); al contrario se il soggetto si trova agli arresti domiciliari è ammissibile in certe circostanze la concessione di una misura alternativa; si ritengono compatibili gli arresti domiciliari con la detenzione domiciliare e con l'affidamento in prova ai servizi sociali, qualora siano eseguibili nello stesso luogo. In particolare l'applicazione più frequente si ha nel caso in cui il soggetto si trovi in comunità agli arresti domiciliari e la misura alternativa debba svolgersi nella stessa comunità. In realtà si tratta di un'ipotesi poco frequente perché non tutte le comunità sono disponibili ad accogliere soggetti agli arresti domiciliari e questo fondamentalmente per due rilievi: il primo attiene alla circostanza che il soggetto in misura cautelare è sottoposto a controlli da parte della polizia e le comunità non sono favorevoli alla presenza della polizia che potrebbe turbare il tranquillo svolgimento delle attività; il secondo è di ordine economico, in quanto le spese per i soggetti agli arresti domiciliari sono sostenute dalla stessa amministrazione penitenziaria, che versa un contributo minimo di sole lire 40.000 al giorno a fronte delle 60.000 lire e più previste in caso di misura alternativa.

Precisiamo inoltre che, per il principio della prevalenza del titolo definitivo, in caso in cui le misure cautelari e l'esecuzione della pena abbiano contestuale svolgimento, il periodo di tempo trascorso in tale regime è ritenuto espiato a titolo di pena definitiva. Ciò può avere particolare rilevanza ai fini della concessione della liberazione anticipata.

L'art. 54 o.p. stabilisce una detrazione di 45 gg. per ogni singolo semestre di pena scontato, da concedersi al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione. Per la formazione dei semestri da prendere in considerazione è valutato anche il periodo trascorso in custodia cautelare (in carcere o agli arresti domiciliari) o di detenzione domiciliare.

Per chiarire quanto detto prendiamo il caso di un soggetto agli arresti domiciliari in comunità a cui viene concessa la misura dell'affidamento in prova, per un altro reato, nella stessa comunità: nonostante che le due misure trovano contemporanea applicazione in quanto compatibili, il tempo trascorso in comunità viene imputato al titolo definitivo ma non varrà ai fini della liberazione anticipata, in quanto l'affidamento, a differenza della detenzione domiciliare, non viene richiamato dall'art. 54 o.p.

 

 

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