Assistenti Sociali della Giustizia

 

Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia

 

Lettera aperta alle forze politiche, sindacali e professionali, alle associazioni impegnate nell’ambito della esecuzione della pena

 

Ci rivolgiamo a chi come noi ritiene che la disastrosa situazione della giustizia in Italia debba essere affrontata con provvedimenti urgenti e tempestivi che mirino nell’immediato ad evitare l’implosione dell’intero sistema penitenziario e in prospettiva a ridurre a monte l’ingresso nel sistema penale di tutti quei soggetti "penalizzati" solo perché vivono un disagio sociale; attraverso quindi la trasformazione delle "politiche penali" in "politiche sociali".

La precedente legislatura, invece di privilegiare interventi sociali di prevenzione e/o riduzione dei fenomeni di devianza e criminalità, ha privilegiato politiche di "penalizzazione" di comportamenti e fenomeni sociali sempre più vasti. Orientamento che ha investito anche il settore minorile nella proposta di riforma della composizione e competenze del Tribunale per i Minorenni, in materia civile e penale, approvata dal Consiglio dei Ministri nel 2002, successivamente non approdata ad una definitiva approvazione.

Condividiamo la posizione di molti che auspicano un globale processo di revisione della legislazione, che ha caratterizzato la stagione appena trascorsa, in tema di giustizia e di esecuzione delle pene e riteniamo importante rivedere le norme nel loro complesso per non cadere nuovamente in una generalizzazione e frammentazione legislativa.

Abbiamo assistito in questi anni allo stravolgimento delle regole fondamentali della giurisdizione e il ripristino di queste non deve far sottovalutare i limiti del nostro sistema giudiziario e le sue ricadute sulla domanda di giustizia e di tutela dei diritti.

L’ordinamento giudiziario dovrebbe essere attraversato da un serio tentativo riformatore che consenta un corretto e rapido svolgimento dei processi.

Leggi come la "ex Cirielli" e la "Fini - Giovanardi" sulle droghe, se non vengono immediatamente e profondamente modificate rischiano di rendere irreversibile il disastro del sistema penitenziario interno ed esterno.

In attesa però di una riforma organica del sistema penale e dell’ordinamento penitenziario, un provvedimento di indulto e amnistia si rende necessario per evitare la paralisi di tutto il sistema della giustizia.

Riteniamo importante quindi che la nuova maggioranza parlamentare, insieme a tutte le organizzazioni impegnate all’interno del sistema giustizia, si assumano l’impegno di:

riformare il codice penale, in un’ottica realmente garantista, in cui il carcere divenga "l’extrema ratio". È necessario ritornare ad un diritto penale ancorato indissolubilmente al fatto compiuto, interrompendo il tentativo della legge Cirielli-Vitali che ha portato ad una trasformazione in chiave soggettiva del diritto penale che guarda all’autore anziché al reato.

riformare il sistema sanzionatorio che dovrebbe articolarsi in diversi passaggi quali: la modifica dei massimi e minimi edittali; l’abolizione dell’ergastolo; l’abolizione delle pene pecuniarie; una restrizione degli spazi di applicazione della pena detentiva.

prevedere una differente disciplina delle misure alternative, non più inquadrate in un’ottica meramente suppletiva o integrativa al carcere, quale premio finale di un percorso trattamentale, ma comminabili anche sotto forma di pene edittali, previste direttamente dal codice penale e applicate dal giudice nella sentenza di condanna.

revisionare l’ordinamento penitenziario

fornire i servizi della giustizia per i minori e per gli adulti delle risorse umane e finanziarie necessarie per la realizzazione degli obiettivi che la legislazione affida loro.

ribadire nel settore minorile la centralità del minore rispetto all’iter penale nella sua completezza, ponendo l’attenzione non solo all’evento penale ma anche al processo di crescita del minore e al suo percorso di recupero e cambiamento, cercando di coniugare l’esigenza di giustizia e di sicurezza sociale con quella di aiuto e sostegno.

rivalutare il ruolo dei servizi sociali della giustizia minorile nell’ambito delle valutazioni di reinserimento e recupero quale contributo tecnico professionale di supporto al processo decisionale del giudice al fine di disporre misure maggiormente adeguate alle specifiche situazioni.

prevedere una diversificazione di trattamento per i cosiddetti giovani adulti (18-21 anni) che hanno caratteristiche proprie non accumunabili a quelle degli adulti, evitando l’accelerazione ad una definitiva stigmatizzazione di deviante.

In questa ottica generale vanno inoltre inquadrate tutte quelle riforme che riguardano l’organizzazione dei servizi e l’ordinamento professionale degli operatori del settore penitenziario per adulti e per i minorenni, una legge come la Meduri (154/2005), che ha introdotto nuove e più profonde lacerazioni all’interno del mondo penitenziario va superata con interventi mirati ad unire e a valorizzare le diverse professionalità presenti.

Solo in una visione generale e complessiva del sistema giustizia è possibile riorganizzare tutto il settore penitenziario e in particolare gli Uffici Esecuzione Penale Esterna (U.EPE) (ex Centri di Servizio Sociale per Adulti - CSSA), attualmente in attesa dell’emanazione di un regolamento da parte del Ministro della Giustizia (art. 3 Legge 154/2005).

Ritenendo indispensabile un confronto sui percorsi di riforma, che dovranno necessariamente attuarsi, in particolare relativamente agli Uepe (Uffici per l’esecuzione penale esterna) alleghiamo alla presente il documento presentato da questo coordinamento alla commissione istituita presso la D.G. EPE con il compito di stilare la bozza del regolamento previsto dal citato art. 3 delle legge 154/05.

Chiediamo a tutte le organizzazioni, ciascuno per quanto di competenza, di intervenire all’interno del dibattito, che necessariamente si aprirà sui processi di riforma, affinchè questi siano coerenti con il dettato costituzionale, con l’ordinamento penitenziario e il nuovo regolamento di esecuzione (legge 230/2000) nonché con le raccomandazioni europee in materia di esecuzione penale e misure alternative alla detenzione Disponibili ad un incontro di approfondimento porgiamo distinti saluti e auguri di buon lavoro.

 

Per il Consiglio Nazionale Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia (CASG)

Anna Muschitiello - Segretaria Nazionale

Ai Componenti Commissione istituita

presso la D.G. EPE - PEA 2006 DAP - Roma

 

A nome del Coordinamento Assistenti Sociali giustizia (Casg) si ritiene opportuno portare a conoscenza di codesta commissione quanto discusso in occasione dell’assemblea nazionale annuale tenutasi a Roma in data 12/03/06 in materia di riorganizzazione degli Uepe.

 

1) L’Uepe agenzia territoriale nell’esecuzione penale esterna

 

L’Uepe è oggi l’Ufficio preposto all’esecuzione delle misure alternative, competenza che gli viene assegnato a partire dalla legge di riforma penitenziaria 354/75 e che gli viene confermata dal nuovo regolamento di esecuzione l.230/2000 e dalla legge n. 328/00 sul "Sistema integrato degli interventi e servizi sociali" che all’art. 9 prevede tra le competenze proprie del livello centrale quelle in materia assistenziale per minori e adulti all’interno del settore penale, e che viene ribadita dalla legge 154/2005. Gli uffici EPE sono un punto nevralgico della rete per l’area penale esterna e perciò rappresentano uno snodo attraverso cui tutti gli altri attori, pubblici e privati, entrano tra loro in comunicazione e sinergia.

Importante è la partecipazione degli U.EPE alla costruzione dei piani di zona, come ufficio fulcro dell’esecuzione penale extradetentiva (art. 118 regolamento penitenziario), del PRAP, a livello intermedio, al Piano sociale regionale e del DAP, al livello centrale, al piano nazionale.

Infatti, da un recente monitoraggio dell’ufficio rapporti con le regioni del DAP, pubblicato sull’ultimo numero di "Pena e territorio" risulta che molti U.EPE (44 su 60), e istituti penitenziari (89 su 199) stanno intervenendo all’interno dei piani di zona territoriali, facendo sì che i servizi territoriali considerino nei loro programmi di intervento anche le problematiche penali/penitenziarie.

Nell’ottica di rendere quanto più effettiva possibile la promessa costituzionale della finalità "rieducativa" della pena, è importante che le Regioni e gli Enti locali collaborino attivamente nell’esecuzione penale. Lo spostamento di gran parte delle competenze "trattamentali" (formazione professionale, orientamento e politiche attive del lavoro, politiche sociali, sanità, ecc.) alle Regioni e agli Enti locali ci fa pensare alle agenzie territoriali come soggetti corresponsabili dell’efficacia del sistema di esecuzione penale nel perseguire gli obiettivi costituzionalmente prefissati. Questa corresponsabilità meriterebbe di essere definita normativamente e maggiormente agita.

 

a) per la ri-definizione del servizio

 

Gli Uepe quali uffici agili e presenti nel territorio devono poter svolgere la loro attività di integrazione a più livelli: tra servizi, tra professioni, tra risorse istituzionali e non.

Devono pertanto rimanere uffici:

dove si valutano e si progettano interventi per percorsi di inclusione sociale, della persona autore di reato, a mezzo di personale di servizio sociale;

diffusi a livello provinciale e in continuo dialogo con gli attori sociali presenti;

dove le altre figure professionali esistenti sono chiamate a contribuire al concretizzarsi dell’intervento sociale;

che si integrano con il territorio. Riprendendo quanto suggerito nell’art. 118 c. 7 del nuovo regolamento di esecuzione, che ribadisce l’opportunità di un lavoro in rete con tutte le parti sociali, che consenta di utilizzare, attraverso precise intese e protocolli, le risorse presenti nei luoghi dove il soggetto viveva al momento della commissione del reato, vive durante l’esecuzione della pena e vivrà anche dopo.

 

L’organizzazione interna deve essere funzionale ad una attività di servizio sociale qualitativamente apprezzabile, che eviti la sclerotizzazione dei compiti, routine, burocratizzazione. Questo significa interrompere l’emergenza come stile di conduzione dell’attività di servizio sociale, e riconoscere ad essa i tempi di svolgimento necessari, salvaguardando la qualità del lavoro, piuttosto che la quantità.

Un Ufficio deve poter definire e gestire in base al contesto territoriale in cui è inserito propri strumenti e modalità di lavoro quali:

"articolazione flessibile dell’orario di servizio;

"funzioni di verifica del lavoro, ricerca, programmazione.

 

L’elemento più importante di tale peculiarità è rappresentato dal principio della partecipazione alle scelte e alle decisioni tecnico-operative. Tale criterio, in quanto riferito al solo livello tecnico-operativo, non deve essere visto come elemento che contrasta con le funzioni amministrative della direzione, e quindi con il principio gerarchico istituzionalmente previsto.

 

b) la multiprofessionalità

 

Come casg abbiamo espresso la necessità di superare la monoprofessionalità degi U.Epe, intesa come presenza esclusiva dell’assistente sociale nella gestione dei casi e nella valutazione dei percorsi di inclusione sociale. Multiprofessionalità che non deve passare necessariamente attraverso l’assunzione presso gli U.EPE di tutte le professionalità necessarie,

Ancora oggi che gli U.EPE stanno utilizzando/sperimentando nuove professionalità con competenze psicologiche, criminologiche, ribadiamo che queste non debbano essere necessariamente ed esclusivamente interne al servizio, ma fruibili con modalità diversificate a seconda delle esigenze locali e delle possibilità di interagire con i servizi territoriali, attraverso: convenzioni, protocolli operativi, attività progettuali ecc.

 

c) la progettazione

 

Il lavoro per e su progetti è diventato da anni una realtà operativa in molti U.EPE. In tale direzione ha lavorato l’ISSP con le sue proposte formative. Nonostante ciò esiste ancora uno scollamento con l’apparato burocratico istituzionale che intende tale modalità lavorativa un’appendice dell’attività istituzionale vera e propria, utile solo per migliorare l’immagine e la visibilità degli uffici.

Per poter agire in un’ottica progettuale è necessario un cambiamento sostanziale, sia strutturale che culturale, occorre un superamento dell’attuale organizzazione centralizzata, gerarchizzata e burocratica, non più funzionale agli obiettivi che il lavoro sociale richiede per essere efficace oltre che efficiente.

Il lavoro per progetti non può non avere ripercussioni sui processi organizzativi, sui sistemi decisionali, sulle procedure di controllo di gestione. Occorre rivedere, reinterpretare e ridefinire le funzioni e le forme di coordinamento che non possono avere più come unico criterio la gerarchia e i ruoli tradizionali….È necessario che ci sia un’assunzione di responsabilità ed una capacità imprenditiva più diffusa a livello di singoli operatori e che questa metodologia di lavoro sia sufficientemente condivisa sia dal personale che dai vertici;… non è inoltre possibile nell’ottica progettuale scindere le istanze di tipo tecnico - professionali da quelle di tipo amministrativo.

Questa impostazione operativa può attuarsi solo in servizi con poteri effettivamente decentrati e con le responsabilità affidate ai Dirigenti degli stessi, i quali devono poter gestire i servizi in autonomia sia amministrativa che tecnica e finanziaria.

 

d) la formazione

 

Direttamente legata alla qualità e all’efficacia del servizio è la formazione, l’aggiornamento degli operatori, e la supervisione professionale. È necessario che gli Uffici del DAP diano stimolo e risalto a tali aspetti, all’interno di un programma formativo che preveda:

lo stanziamento di risorse finanziarie adeguate e sufficienti per un programma formativo articolato nel tempo, che non escluda anche momenti di formazione inter-professionale;

la programmazione di spazi e occasioni per la formazione permanente e per l’aggiornamento, che accompagnino periodicamente l’operatore nel corso del tempo, fornendogli gli stimoli adeguati per contrastare il burn-out e per riqualificare la propria attività;

la predisposizione di iniziative formative centrali e periferiche, che vedano coinvolti attivamente i Provveditorati e gli U.EPE stessi, nella fase di programmazione e gestione, anche attraverso lo stanziamento di fondi autonomi agli U.EPE per la gestione della formazione decentrata;

la collaborazione con gli Enti Locali (Regioni, Comuni, UU.LL.SS., Università) e con il privato sociale nella programmazione della formazione, favorendo la partecipazione degli operatori dei servizi territoriali;

la possibilità sistematica di partecipare alle occasioni formative organizzate a livello locale da altri organismi. istituzionali e non.

Va inoltre prevista la possibilità che gli operatori accedano a momenti di supervisione professionale, come momento imprescindibile per la qualità dell’intervento, intendendo con tale termine una verifica periodica dell’agire professionale, svolta da esperti che abbiano i seguenti requisiti:

titolo di assistente sociale;

formazione ed esperienza adeguata alla complessità del compito;

estraneità a rapporti gerarchici rispetto a chi usufruisce della supervisione;

non appartenenza all’ente.

 

2) La questione del controllo

 

Gli U.EPE sono uffici dove il monitoraggio dei percorsi di reinserimento viene effettuato attraverso la funzione di aiuto e controllo. Tale argomento va inquadrato nella sua giusta dimensione anche alla luce della legislazione nazionale e internazionale sul tema.

La necessaria coesistenza tra la funzione del controllo e quella dell’aiuto nell’intervento dell’assistente sociale è stata infatti dichiarata espressamente con il DPR 30 giugno 2000, n. 230, in particolare nell’art. 118 comma 8; la Raccomandazione n. 16 – regola 55 della Comunità Europea: Regole Europee sulle sanzioni e misure alternative alla detenzione ci aiuta a capire meglio quando ribadisce che: «l’esecuzione delle sanzioni e delle misura alternative debbono avere il massimo significato per il reo e devono contribuire allo sviluppo personale e sociale dello stesso, al fine del suo reinserimento sociale.

I metodi di presa in carico e di controllo dovranno perseguire tali obiettivi e fornisce le definizioni dei termini: controllo e presa in carico:

Per presa in carico si deve intendere: «sia quelle attività di aiuto esercitate dall’autorità dell’esecuzione o da altra da questa delegata, sia le attività miranti ad assicurare che il reo rispetti tutte le condizioni e gli obblighi impostigli».

Per controllo si deve intendere: «le attività che consentono di verificare che tutte le condizioni e tutti gli obblighi imposti siano rispettati…»

L’intervento dell’assistente sociale comprende forme di aiuto ai soggetti in difficoltà, accompagnate da forme di controllo, in relazione ai comportamenti e agli obiettivi. Si può anzi dire che non c’è intervento di aiuto se manca un controllo sulle capacità o sulle difficoltà del soggetto in questione a rispettare regole e contratti.

L’intervento di controllo, esercitato dall’assistente sociale, che non si limita ad una semplice rilevazione dell’infrazione e nella sua contestazione, ma costituisce anche un’occasione per svolgere una riflessione e avviare una ricerca di soluzioni, nelle quali il soggetto stesso è chiamato ad assumere un atteggiamento costruttivo si pone rispetto al tradizionale controllo di polizia in termini qualitativamente diversi e non va guardato come qualcosa di meno efficace.

Per quanto sopra detto non si può condividere la posizione di chi sostiene che agli assistenti sociali all’interno degli U.EPE deve essere demandato il compito aiuto/assistenza (modalità operativa che il codice deontologico degli assistenti sociali invita chiaramente a superare) e occorre potenziare il controllo per rendere l’ azione degli uffici maggiormente credibile e rispondente alle esigenze di sicurezza della società.

L’istituzione di un’area di sicurezza all’interno degli U.EPE non può essere affatto condivisa per le ragioni più volte e in più occasioni espresse dal CASG. Il legislatore quando ha voluto dare compiti di controllo alla polizia lo ha detto chiaramente, mentre per l’affidamento attribuisce il controllo espressamente all’allora CSSA, lasciando alle forze di polizia compiti di controllo del territorio. Riteniamo, invece, importante avviare e/o incrementare i rapporti con le forze dell’ordine volti ad una maggiore collaborazione e al coordinamento e conoscenza della reciproche competenze.

Noi conosciamo due tipi di controllo: verifica sull’andamento del programma trattamentale proprio di una professionalità come quella dell’assistente sociale e controllo sul rispetto delle prescrizioni e sulla recidiva proprie delle forze di polizia; non ci risulta esserci una terza forma di controllo che sia una via di mezzo tra le prime due.

Sull’inserimento di nuclei di polizia penitenziaria negli U.EPE con compiti di controllo dell’utenza in esecuzione penale esterna, il CASG si è più volte espresso con una valutazione negativa; in questa sede ci sembra opportuno aggiungere solo che tale inserimento appare ancora più ingiustificato in una situazione in cui la maggioranza dei soggetti in esecuzione penale esterna arriva direttamente dalla libertà e non è mai transitata dal carcere.

Non ci convincono neanche alcune proposte che prevedono di affrontare il problema del controllo durante l’affidamento attraverso l’introduzione di una nuova figura professionale, chiamata "operatore sociale o della vigilanza", figura oggi inesistente nell’ambito dei profili professionali della giustizia o di altro settore.

È previsto che tale profilo professionale abbia compiti di controllo accanto all’assistente sociale e in sostituzione delle Forze di polizia, riteniamo, alla luce della definizione di controllo dato dalla raccomandazione europea n. 16, sopra menzionata, che porsi il problema del controllo in questi termini sia un falso problema.

Riteniamo invece che il controllo degli affidati al servizio sociale debba continuare ad essere di pertinenza dell’assistente sociale (questo dice chiaramente la legge 230/00) e delle forze dell’ordine territoriali. Qualsiasi altra soluzione modificherebbe la natura di tale misura alternativa, basata prevalentemente sulla responsabilizzazione quindi sulla crescita personale del soggetto e ne ridurrebbe l’efficacia, contribuendo semplicemente a duplicare i controlli.

 

3) La consulenza alla Magistratura

 

Non essendo intervenuta a tutt’oggi una riforma organica del sistema penale, è rimasta la contraddizione tra un sistema penale ancorato ad una concezione della pena, basata esclusivamente sulla detenzione, a prescindere dal disvalore sociale dell’illecito, (così come era prevista dal Codice Rocco del 1930) e una riforma penitenziaria basata sulla individualizzazione della pena con finalità di rieducazione ai sensi dell’art. 27 della Costituzione Italiana. Si è, quindi, nei fatti, affidato alle Misure Alternative la funzione impropria di riparare in sede esecutiva ad un eccessivo rigore punitivo.

Nel dibattito sulle politiche penali si confrontano due posizioni opposte:

l’una che vede nel carcere l’unica sanzione possibile, non tenendo conto della impossibilità di ampliare a dismisura l’utilizzo del carcere, pena l’implosione dell’intero sistema anche a causa degli alti costi necessari;

l’altra che intravede la necessità di "qualificare" e "differenziare" la risposta sanzionatoria per fronteggiare l’emergenza criminalità, ritenendola questa una politica più efficace della semplice risposta repressiva, che non funziona né in termini di deterrente né di prevenzione

 

Alla luce anche di alcuni provvedimenti legislativi che hanno accennato timidamente e in modo non strutturale e organico ad un intervento del servizio sociale nell’ambito della cognizione si ritiene sia opportuno approfondire la possibilità di ipotizzare un servizio sociale inserito nel sistema giustizia e non esclusivamente nel sistema penitenziario. Nel momento in cui si prevede l’applicazione, in sede di cognizione, di una pena adeguata e proporzionata alla gravità dell’illecito commesso, appare opportuno che per un’attenta valutazione da parte del giudice della situazione del reo questi abbia la possibilità di avvalersi di una consulenza professionale qualificata e specifica, quale può essere quella del servizio sociale della giustizia.

Importante inoltre sarebbe effettuare opportune differenziazioni d’intervento tra i soggetti che necessitano di interventi sociali e coloro che eseguono una pena in una situazione di già avvenuto reinserimento, se non viene effettuata a monte una differenziazione delle sanzioni da parte della Magistratura occorrerebbe, almeno a livello di Servizio Sociale. differenziare i programmi ed evitare che l’affidamento influisca e addirittura pregiudichi un reinserimento già avviato o addirittura avvenuto.

 

Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia

Segreteria nazionale

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Fax: 1782247680

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