Progetto M.E.D.I.A.RE.

 

Mutual exchange of data and information about restorative justice

Programma Comunitario Grotius II Penale

 

Un modello di mediazione efficace

 

Quali sono le componenti di un modello di mediazione efficace?

 

Premesso che lo sviluppo di un modello di mediazione non può prescindere dal contesto sociale e legislativo del Paese di riferimento, un modello di mediazione si può definire efficace quanto più raggiunge i seguenti obiettivi: soddisfa gli attori coinvolti; riduce il grado di recidiva dell’autore del reato; aiuta la vittima a superare il trauma; risarcisce il danno alla vittima; deflaziona il carico di attività del sistema giudiziario costituendo una possibile alternativa al procedimento penale ed alla detenzione.

Di seguito vengono descritti gli elementi di questo modello. Va tenuto presente che questi elementi, basati su esperienze nazionali, devono essere adattati alle caratteristiche (sociali e normative) del contesto nazionale. Gli elementi di questo modello emergono dalle risposte alle seguenti domande:

 

Quali sono i principi base da cui deve partire un modello di mediazione?

 

La mediazione penale parte dalle esperienze di vita quotidiana della vittima, che ha subito il reato e dell’autore che lo ha commesso ed è orientata verso la riparazione e la compensazione del danno. Il programma di mediazione penale dovrebbe quindi rivolgere la medesima attenzione sia alla vittima che all’autore del reato, e realizzare la compensazione, cioè il risarcimento del danno causato dal reato. Questo risultato si ottiene attraverso modalità di mediazione che permettano di: fornire alle parti gli strumenti per trovare un accordo e assisterle nel suo raggiungimento; riparare il danno materiale, psicologico ed emotivo sofferto dalla vittima; dare all’autore di reato l’opportunità di fare qualcosa di positivo per riparare il danno inferto ad altri; prevenire, attraverso questa esperienza, la reiterazione di condotte in danno del diritto e dell’integrità personale e patrimoniale altrui.

Dal punto di vista dei principi base, un buon programma di mediazione dovrebbe permette alle persone coinvolte (vittima, autore e persone loro vicine quali parenti, amici, comunità) di confrontarsi sul fatto reato e sugli effetti che questo ha provocato.

 

Quale deve essere il rapporto con il sistema di giustizia penale?

 

I programmi di mediazione, il loro sviluppo e la loro attuazione sono molto correlati alla struttura del sistema di giustizia penale di un paese. La mediazione è cioè condizionata dall’esistenza di una tradizione di civil law o di common law e, in particolare, dall’adesione di un sistema di giustizia al principio di legalità/discrezionalità dell’azione penale.

Durante gli ultimi decenni è prevalsa la convinzione che sia più facile istituire e sviluppare programmi di mediazione penale in sistemi di common law. Ciò in virtù del maggiore potere discrezionale della polizia, del pubblico ministero e del tribunale. La prassi ha però dimostrato che tale differenza non è determinante, e che si possono individuare dei modi per attivare programmi di mediazione penale sia in paesi di civil law con un forte principio di legalità, sia in paesi di common law con un forte principio d’opportunità. A conferma di quanto detto si possono portare le esperienze di Austria e Norvegia. In Austria vige il principio d’obbligatorietà dell’azione penale, mentre la Norvegia è più vicina al principio di discrezionalità. In entrambi i paesi, però, programmi di mediazione penale sono stati attivati su scala nazionale.

L’esperienza austriaca nei programmi di mediazione, tra i primi attivati in Europa, ha dimostrato come sia errata la convinzione per cui la mediazione penale non possa essere introdotta in un sistema di civil law caratterizzati dall’obbligatorietà dell’azione penale. In Austria l’introduzione della mediazione penale ha favorito l’attenuazione del principio d’obbligatorietà, e ha rafforzato la posizione dei pubblici ministeri quali "padroni della procedura penale" aprendo loro nuovi spazi di discrezionalità.

Si può concludere quindi che un buon modello di mediazione penale può svilupparsi tanto in un sistema dove l’azione penale è obbligatoria, quanto in uno dove non lo è. In altre parole, l’obbligatoria dell’azione penale non costituisce, di per sé, un ostacolo per lo sviluppo di pratiche di mediazione.

 

Quale deve essere il grado di autonomia della mediazione penale?

 

L’autonomia dal sistema penale è uno dei principi su cui le pratiche di mediazione penale dovrebbero fondarsi. Anche la Raccomandazione n. (99) 19 stabilisce, infatti, che ai servizi di mediazione dovrebbe essere data sufficiente autonomia all’interno del sistema di giustizia penale.

È difficile però stabilire quanto un programma di mediazione debba essere autonomo dal sistema di giustizia per raggiungere risultati migliori. Un’indicazione a questo riguardo viene da una ricerca comparata, svolta verso la metà degli anni Novanta , che ha confrontato l’esperienza di mediazione nella provincia austriaca della Styria con quella di Baden-Württemberg in Germania. Lo studio indica che i risultati migliori - in relazione agli accordi raggiunti e alla soddisfazione delle vittime - si sono raggiunti in Austria, dove le pratiche di mediazione godono di una maggiore autonomia dal sistema di giustizia. In Austria il ruolo del pubblico ministero è marginale e le indicazioni che vengono durante la mediazione meno invasive. In Germania, invece, il pubblico ministero fornisce maggiori direttive sui contenuti della mediazione, realizzando così una maggiore ingerenza del sistema di giustizia nel processo di mediazione. Vista l’assenza d’ulteriori ricerche empiriche su questo tema, la proposta che si propone di seguito è formulata sulla base dell’osservazione delle pratiche di mediazione.

La relazione tra i programmi di mediazione penale ed i sistemi di giustizia penale dovrebbe essere "temporaneamente autonoma". Per "autonomia temporanea" si intende un modello nel quale nel fare mediazione non vi siano interferenze da parte delle agenzie del sistema penale, le quali, però, mantengono la discrezionalità circa l’invio, la continuazione o, al contrario, l’interruzione della procedura. Secondo il principio di "autonomia temporanea", il processo di mediazione penale deve avere "una stanza propria" per sviluppare la sua ratio specifica ed i suoi principi. Questa "autonomia temporanea" o "condizionale" dovrebbe lasciare lo spazio e il tempo necessari per trattare il caso secondo i principi d’imparzialità del mediatore, della confidenzialità, della consapevolezza del reo del danno arrecato. Questo principio dovrebbe trovare applicazione indipendentemente dalle fasi del procedimento penale, in cui il programma è collocato e dovrebbe essere realizzato in tutti gli stadi del procedimento penale in cui la mediazione è possibile.

 

In quale momento si deve fare mediazione e per quali reati?

 

La mediazione penale dovrebbe essere disponibile in ogni fase del procedimento penale. Solo poche esperienze in Europa prevedono che l’attività di mediazione possa essere condotta nelle primissime fasi (dalla polizia, al momento della denuncia) o alla fine del procedimento (successivamente alla sentenza o alla detenzione). La mediazione penale come misura di diversion nella fase pre-processuale è piuttosto comune in Europa. Così avviene in Belgio, Repubblica Ceca, Inghilterra, Finlandia, Norvegia, Polonia e Portogallo.

La diversion viene più frequentemente adottata nella fase iniziale dell’azione penale. A questo stadio però - in una giurisdizione di civil law - essa è destinata ad essere limitata a casi poco o mediamente gravi, se non a reati bagatellari. Alcuni progetti ed una ricerca austriaca hanno però dimostrato che l’effetto positivo sulla vittima dato dalla partecipazione all’attività di mediazione è più significativo nei casi di reati gravi. "Usate la giustizia riparativa per reati gravi, non per quelli poco gravi", ha proposto Lawrence Sherman in occasione del Seminario Internazionale sulla criminalità minorile presso l’Home Office a Londra nel 2002. A Leuven (in Belgio) il progetto "Mediazione per riparare" è iniziato nel 1993, con il proposito esplicito di sperimentare in che misura la mediazione penale fosse un metodo percorribile per i crimini più gravi. In generale, si può affermare che i programmi di mediazione penale al momento della sentenza sono più adatti per i reati più gravi.

 

Come assicurare la partecipazione volontaria?

 

La Raccomandazione n. (99) 19 ribadisce chiaramente il concetto di volontarietà della mediazione penale, anche se questa posizione non è stata esente da critiche. Associare il concetto di coercizione a quello di mediazione è in sé una contraddizione, perché, affinché il procedimento di mediazione inizi, è necessario l’attivo e libero coinvolgimento delle parti interessate.

In molti Paesi, però, la stretta applicazione del principio di volontarietà è controversa: ad esempio, non vi accordo sull’ipotesi di riconoscere al giudice la possibilità di attivare d’ufficio la mediazione penale, attraverso un apposito provvedimento. Germania e Norvegia sono due esempi di una posizione di compromesso: nonostante sia prevista la possibilità d’invio attraverso un provvedimento del giudice, l’avvio del processo di mediazione dipende comunque dal consenso delle parti.

La pratica seguita dalla Polizia di Thames Valley in Inghilterra è diversa perché la mediazione penale, condotta dagli ufficiali di polizia, è parte di un processo sanzionatorio della giustizia riparativa che viene imposto all’autore del reato. Viene però rispettato il principio di volontarietà per quanto riguarda la partecipazione della vittima. I mediatori inglesi che hanno adottato questo modello offrono diverse motivazioni a sostegno di questo approccio tra cui la seguente . La valutazione dell’attività svolta dalla Restorative Justice Unit della polizia di Thames Valley ha messo in evidenza come questo metodo sia più efficace dei tradizionali strumenti sanzionatori nel ridurre la probabilità di recidiva (e questo sebbene gli stessi autori della valutazione riconoscano che sarebbe necessario uno studio più approfondito per confermare la validità di queste conclusioni). Sia le vittime sia gli autori di reato, che hanno partecipato all’attività di mediazione della Polizia di Thames Valley, hanno manifestato una sostanziale soddisfazione rispetto alla correttezza dell’attività di mediazione, anche se questo risultato sembra dipendere dal fatto che gli ufficiali di polizia incaricati di svolgere la mediazione seguono fedelmente le procedure previste, senza ricadere nelle tecniche proprie di un interrogatorio di polizia.

In Irlanda il principio di volontarietà è osservato scrupolosamente. Se, contro la volontà dell’autore del reato, si sceglie di attivare la mediazione penale, l’autore stesso può rifiutarsi di partecipare alla mediazione senza subire alcuna conseguenza. In questo caso, il processo penale segue il suo corso usuale. Kieran O’Dwyer del Garda Research Unit, una delle prime unità di polizia che ha utilizzato gli strumenti della giustizia riparativa, ha attentamente analizzato, elencandoli, gli elementi a favore e quelli contrari all’applicazione del principio di volontarietà, ed ha concluso in favore della necessità di orientare la mediazione penale nella direzione dell’applicazione di questo principio.

Il principio di volontarietà è molto importante nel caso in cui gli autori di reato che partecipano alla mediazione siano minorenni. Esistono opinioni molto diverse riguardo alla capacità del minore di prendere parte al processo di mediazione e di dare il suo libero consenso in modo volontario. In Francia, dove prevale la componente protettiva, si prevede che la mediazione penale venga svolta in presenza di un genitore o di un tutore. In Norvegia e in Finlandia, invece, si ritiene che la mediazione sia particolarmente adatta ai minori ed i mediatori volontari la esercitano di routine.

Per concludere, volontarietà per entrambe le parti, offerta non legata all’ottenimento di benefici derivanti dalla partecipazione dell’autore dell’illecito, e attenta preparazione dell’incontro tra autore e vittima sembrano essere le chiavi del successo di un procedimento di mediazione. È necessario concentrarsi sia sulla vittima sia sull’autore di reato e conseguire la compensazione e la riparazione nel modo più ampio possibile.

 

Mediatori volontari o mediatori professionisti?

 

In Europa, e nel mondo, si incontrano sia modelli con mediatori volontari sia modelli con mediatori professionisti. Le esperienze d’Austria e Norvegia, da questo punto di vista, possono essere prese come esempio dei due modelli opposti.

In Austria, la mediazione tra autore e vittima è condotta da mediatori professionisti, denominati Konfliktregler. Questa professione si è di fatto creata e consolidata durante il primo progetto pilota, quando assistenti sociali specializzati nella probation si trovarono di fronte a questo nuovo compito. Fu immediatamente chiaro che questo ruolo richiedeva una professionalità particolare .

In Austria il periodo di training dei mediatori ha durata triennale e consiste principalmente in un training "sul campo", cioè nell’osservazione e nel lavoro a fianco di un mediatore esperto, affiancati dalla partecipazione a seminari teorici e pratici. La professione del mediatore è caratterizzata da un aspetto particolare. L’intento principale è cioè quello di mettere le parti in condizione di elaborare i propri conflitti autonomamente, rendendo il proprio intervento via via sempre più superfluo. Si tratta quindi di una professione che dovrebbe mettere i soggetti coinvolti del processo in grado di riappropriarsi del conflitto stesso e di gestirlo in prima persona.

In Norvegia, al contrario, i mediatori vengono reclutati, su base volontaria, tra i componenti della comunità. Ogni servizio di mediazione è dotato di uno staff professionale a tempo pieno responsabile della selezione, della formazione dei mediatori e della loro supervisione. La fase di training è estremamente breve (quattro giorni), ma esiste una supervisione continua (come nel caso dell’Austria). I mediatori volontari forniscono un legame con la comunità, la rappresentano, e questo è di notevole importanza. Il problema che nasce è piuttosto quello di individuare mediatori che rappresentino sufficientemente tutta la comunità e non soltanto la classe media. Essi si occupano principalmente di piccoli reati in cui sono coinvolti giovani. I risultati sono buoni, visto che la maggior parte dei casi si conclude con un accordo. Una valutazione effettuata nel 1996 evidenzia inoltre alti livelli di soddisfazione sia da parte dell’autore che della vittima (rispettivamente 98% e 95%).

Il livello di soddisfazione delle vittime in Austria, secondo alcuni studi recenti, risulta invece un po’ più basso. In un’analisi, il 78% degli uomini e il 63% delle donne e, in un altro studio, l’83% delle vittime e degli autori, hanno indicato un livello di soddisfazione ‘alto o molto alto’. Studi più approfonditi evidenziano, però, anche critiche nei confronti d’alcuni mediatori, ad esempio laddove un’alta percentuale di rispondenti attribuisce al mediatore la maggiore influenza sul risultato. Il 16% dei rispondenti, poi, è d’accordo con l’affermazione secondo cui non ha avuto l’opportunità di contribuire al raggiungimento di quel risultato. Altre ricerche effettuate sulla mediazione per reati di violenza domestica hanno evidenziato casi in cui l’intervento del mediatore è stato altamente apprezzato ed ha avuto un effetto positivo d’aiuto per le donne maltrattate. Queste ricerche hanno anche mostrato alcuni difetti, tra i quali una ridotta applicazione di procedure e fasi standard e la mancanza di un riconoscimento reale tra le parti.

Infine, in Austria manca completamente qualunque forma di coinvolgimento della comunità. Nel complesso, tuttavia, le vittime, gli autori ed i mediatori sembrano apprezzare il profilo professionale del mediatore e del procedimento di mediazione austriaco. Per quanto riguarda l’applicazione dei due modelli di mediazione (mediatori professionisti/mediatori volontari) in altri paesi, si può ricordare che la Germania segue il modello fondato sui professionisti, così come la Repubblica Ceca, il Belgio, l’Olanda e la Spagna. In Francia vengono utilizzati mediatori sia professionisti che volontari, mentre nel Regno Unito, in Finlandia, in Polonia, in Portogallo e in Slovenia operano dei mediatori volontari.

La Slovenia, che segue il modello norvegese, merita un cenno particolare. Ha un alto numero di casi di mediazione, se confrontato con il numero totale di procedimenti penali, ed ha una percentuale abbastanza bassa di mediazioni concluse con successo. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che il grado di complessità dei casi riferiti alla mediazione è molto maggiore di quelli norvegesi, e questo potrebbe spesso renderli troppo difficili da trattare per i mediatori. È proprio qui che un maggior livello di "professionalizzazione" potrebbe essere d’aiuto, almeno per alcune tipologie di reato. A causa degli alti costi dei programmi gestiti interamente da professionisti, da tempo in Germania si discute sulla possibilità di utilizzare mediatori volontari. I modelli più promettenti sembrano essere quelli che mutuano l’esperienza norvegese, con uno staff di professionisti affiancati da volontari. Ciò che è più importante è che sembra essenziale che i team di volontari e lo staff professionista lavorino insieme, supportandosi a vicenda.

In conclusione, è auspicabile l’utilizzo di mediatori volontari a condizione che lavorino all’interno di un gruppo ben strutturato di mediatori professionisti. È raccomandabile anche che vengano sviluppati dei metodi specifici per le diverse tipologie di casi/reati.

 

Mediazione diretta o mediazione indiretta?

 

In quei paesi con programmi ben avviati e con studi di valutazione della soddisfazione delle vittime e degli autori, si riscontrano risultati interessanti sul tipo di mediazione che ha maggiore successo (e con tipo di mediazione in questo contesto ci si riferisce all’uso della mediazione diretta in opposizione a quell’indiretta). In Austria, diverse ricerche hanno rilevato come la mediazione diretta di norma garantisce una maggiore soddisfazione della vittima ed una migliore percezione da parte sua dell’assunzione di responsabilità da parte dell’autore. Inoltre, in una mediazione diretta si riscontra una più elevata propensione all’accordo.

Oltre a questa prova empirica, testimonianze ed esperienze provenienti da vari paesi suggeriscono di fare ogni sforzo per ottenere il "massimo coinvolgimento possibile della vittima" e di ricorrere alla mediazione diretta.

 

Quale ruolo per la vittima?

 

La mediazione non dovrebbe essere né esclusivamente centrata sulla vittima né sull’aggressore. Piuttosto, essa dovrebbe riguardare ciò che è accaduto tra le persone, l’esperienza di ferire o danneggiare qualcuno e l’esperienza di essere ferito o danneggiato. Se si attribuisce alla vittima un ruolo prominente nella mediazione, considerandola non un semplice strumento della riabilitazione o della responsabilizzazione dell’aggressore, allora è fondamentale proteggerne gli interessi. Se si vuole ottenere il suo massimo coinvolgimento, ci si deve strettamente attenere al principio di volontarietà della partecipazione.

L’Austria ha un alto tasso di partecipazione da parte delle vittime. Questo tasso è invece basso per Inghilterra e Galles (generalizzazione che, comunque, non tiene conto della estrema varietà di programmi di mediazione che esistono in Inghilterra). Fin dagli inizi delle pratiche di mediazione, in Austria si è avuto un alto numero di inviti rivolti alle vittime a partecipare alla mediazione ed un alto numero di vittime disposte a cooperare. Le vittime austriache hanno percepito l’offerta di mediazione come ragionevole e normale . Per loro la mediazione ha avuto il significato di confrontarsi con l’autore del reato, per ottenere una spiegazione su quanto è accaduto e una compensazione per il danno e il dolore subito. La partecipazione non è stata considerata dalle vittime come una prestazione altruistica, bensì come l’adempimento di un interesse personale.

La prima conclusione è pertanto che conviene avere fiducia, nella capacità della vittima di partecipare attivamente alla mediazione e in questo modo fare i propri interessi.

Si deve essere consapevoli che le vittime che entrano in mediazione, potrebbero essere costrette in un processo che è faticoso e impegnativo e che richiede grosse capacità personali per raggiungere un buon risultato. Bisogna anche essere consapevoli che, nella maggior parte dei casi, i programmi di mediazione sono orientati ai colpevoli (offenders-oriented). I mediatori possono quindi trovare difficile riconoscere pienamente il ruolo che le vittime hanno e soddisfare pienamente il principio della volontarietà.

Alla conferenza APAV a Lisbona Gerd Delattre , del TOA Servicebureau in Germania, ha sottolineato questa situazione, ridimensionando l’importanza della formazione dei mediatori, dicendo che "chi è preparato a proporre un’offerta che si ritiene adeguata per entrambe le parti; chi è disposto a basare le proprie azioni sul principio di all-partiality, partecipazione volontaria, parità di opportunità e imparzialità; chi è disposto a prendere parte a quella che viene chiamata "danza equilibristica" tra il mondo delle vittime e il mondo dei colpevoli dovrebbe avere familiarità col mondo delle vittime e non solo averne una conoscenza superficiale". Gli elementi necessari per il training, secondo Gerd Delatore, sono: conoscenza sui diritti delle vittime e offerte di supporto, conoscenza sulle fasi della gestione degli effetti di un reato, coinvolgimento delle organizzazioni di aiuto alle vittime, conoscenza sul trauma e infine rispetto della vittima. In sintesi di elencano di seguito le caratteristiche che un modello di mediazione efficace dovrebbe possedere.

 

Le caratteristiche di un modello di mediazione efficace

 

La mediazione dovrebbe:

Permettere alle persone coinvolte (vittima, autore e persone ad esse vicine quali parenti, amici, comunità), di confrontarsi sul fatto reato e sugli effetti che questo ha provocato nella vita quotidiana delle persone coinvolte;

Godere di autonomia temporanea, cioè la mediazione dovrebbe venire condotta senza interferenze da parte delle agenzie del sistema penale, che però mantengono la discrezionalità nell’invio, durante il procedimento e nel momento in cui si decide si interrompere la procedura (estinzione);

Essere accessibile in ogni fase del procedimento di giustizia penale. Si può affermare che i programmi di mediazione penale attivati al momento della sentenza sono più adatti per i reati più gravi;

Garantire la volontarietà per entrambe le parti, in quanto la mediazione deve essere intesa come un’offerta data alle parti;

Essere condotta da mediatori volontari a condizione che lavorino all’interno di un gruppo ben strutturato di mediatori professionisti;

Essere di tipo diretto, con l’incontro tra autore e vittima del reato, dovunque sembri fattibile;

Raggiungere il massimo coinvolgimento possibile della vittima.

 

 

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