Associazione "Bambini senza sbarre"

 

 

Progetto "Spazio Giallo" a San Vittore (pdf)

 

L’Associazione "Bambini Senza Sbarre" nasce dal Gruppo Carcere Mario Cuminetti, che è stato il primo gruppo in Italia - nel 1985 - a chiedere e usufruire dell’articolo 17 dell’Ordinamento Penitenziario (integrato dalla Legge Gozzini) per svolgere attività culturale in carcere e creare un collegamento fra carcere e città.

L’Associazione prende il nome dal suo fondatore, Mario Cuminetti, teologo, saggista e operatore culturale, impegnato per il rinnovamento della società e in particolar modo per il problema degli emarginati.

L’Associazione si occupa del rapporto genitori detenuti e figli da quattro anni, collegandosi idealmente ad un lavoro iniziato nel 1985, con seminari nell’Istituto penitenziario milanese S. Vittore, su "affettività, paternità, maternità".

La decisione di impegnarsi su questo tema nacque da un lavoro preliminare con le detenute e i detenuti, un’indagine/questionario, a cui seguì una serie di incontri con loro, noi volontari, figure professionali, magistrati e operatori sociali che già affrontavano nel loro lavoro questo tema ed emerse come prioritario il problema della relazione con i figli. Quel primo ciclo di incontri portò al convegno, svoltosi a San Vittore nel giugno ‘97, "Bambini senza sbarre" a cui seguì il progetto "Incontri senza sbarre": avendo infatti individuato nel colloquio con i figli un momento centrale della relazione ma spesso di grave disagio per le modalità e lo spazio in cui si svolge si cercò all’esterno e con l’appoggio dell’allora direttore del DAP Alessandro Margara e del Procuratore Generale Umberto Loi, con la collaborazione della Provincia e del Comune di Milano, fu messo a disposizione dell’amministrazione penitenziaria un giorno alla settimana per i colloqui con i figli, lo "Spazio neutro" di via Pusiano a Milano. Nell’attesa che fosse operativo abbiamo sempre continuato gli incontri con le donne madri.

Il punto di partenza con cui affrontiamo questo problema è il dramma dei bambini per i quali non si può e non si deve prescindere dalla relazione con i loro genitori, consapevoli che l’esperienza centrale su cui lavorare è la separazione, violenta e subita, e le difficoltà individuali successive di adattamento ad un diverso contesto affettivo.

Il bambino infatti non può crescere senza una relazione parentale fondante, per questo è necessario tentare di recuperare, quando è possibile, la relazione spezzata dalla detenzione (art. 9 Convenzione ONU), relazione che dovrebbe essere valutata spostando l’ottica culturale che privilegia solo l’adattamento sociale (lavoro, casa), peraltro fondamentale, anche su un adattamento più relazionale e affettivo.

Il nostro lavoro si sviluppa attraverso l’individuazione di un percorso di accompagnamento del minore e della madre nella loro esperienza di separazione e di necessità di mantenimento della relazione.

Questa necessità è prioritaria e vitale per il bambino, per la sua identità ed equilibrio psichico di base; consapevoli che anche il genitore in carcere attraversa un momento grave di disorientamento e necessita di un sostegno per recuperare un’identità genitoriale persa o da ricostruire.

Il carcere potrebbe diventare un’opportunità di contenimento positivo, spesso non sperimentato dalla persona precedentemente.

 

Il rapporto con "Relais Enfants - Parents" di Parigi

 

Nel corso di questi anni abbiamo anche potuto confrontarci con esperienze analoghe operanti in Europa e l’incontro avuto nella primavera del 1999 con i direttori della Federazione francese e belga, che da anni operano in maniera organica su questo tema, ha confermato alcune idee guida del nostro lavoro. Da questo incontro è nato l’invito di poter seguire il loro lavoro negli istituti penitenziari della regione di Parigi, dove siamo stati per alcuni giorni nello scorso novembre 2000.

In seguito, si è formalizzato un rapporto di collaborazione con l’accettazione del nostro progetto "Bambini senza sbarre"nel loro Eurochips da cui è nato un preciso programma di lavoro.

In Europa, secondo uno studio francese, risulta che degli 800.000 bambini di genitori detenuti 43.000 sono italiani e il 30% segue la strada della detenzione. In quest’ottica il nostro intervento si pone quindi anche in una prospettiva di prevenzione sociale, come tentativo di interrompere un destino di carcere che pare ripetersi nei figli in modo inesorabile.

 

Le idee guida, condivise anche con l’esperienza francese, riguardano:

 

Un lavoro di sostegno e di accompagnamento del bambino durante la detenzione del genitore, e anche dopo, per migliorare lo sviluppo psicologico e sociale e le capacità di adattamento, cercando di limitare le sofferenze psicoaffettive dovute alla detenzione del genitore. La separazione dal genitore porta inevitabilmente il figlio alla perdita di una propria identità sociale e culturale, delle relazioni, degli amici, fino all’immagine di se.

Lo stesso lavoro di accompagnamento è previsto per il genitore detenuto, a cui ci si rapporta in quanto genitore, per recuperare un’identità genitoriale persa o da ricostruire. In questo sostegno riteniamo importante anche un lavoro di comprensione e accettazione dei propri diritti/doveri rispetto al problema dell’affidamento dei figli, per una presa di coscienza su un piano di realtà. consapevoli che questo consenta un migliore reinserimento anche sociale alla fine della detenzione.

Il nostro lavoro è condotto da volontari del Gruppo professionisti nel campo psicologico psicopedagogico e legale.

 

Gruppi d’incontro

 

Il nostro Gruppo organizza anche incontri regolari, con cadenza mensile, su questo tema per le donne e gli uomini detenuti che desiderano parteciparvi.

Questi incontri sono un momento di riflessione, di sensibilizzazione e di sostegno nel mantenimento del ruolo genitoriale e della relazione con i figli.

Negli incontri i temi intorno ai quali lavoriamo sono:

il bambino come soggetto di diritti e i diritti e doveri degli adulti come genitori;

come comunicare ai figli il proprio stato di detenzione;

la funzione di genitore e la relazione con i propri figli e più in generale il mantenimento dei legami affettivi durante la separazione nel presente in preparazione di un domani di libertà;

la genitorialità in culture diverse attraverso le esperienze di detenute e detenuti provenienti da altri paesi;

il tempo e lo spazio del carcere come possibilità di recuperare e vivere le relazioni;

il confronto con competenze diverse (interventi di persone amiche che seguono la nostra attività a San Vittore: medici, avvocati, giudici, rappresentanti istituzionali, psicanalisti).

Riteniamo infatti che oltre a uno sforzo per il reinserimento sociale sia necessario un percorso di presa di coscienza che preveda anche gli aspetti relazionali e affettivi perché la detenzione non sia solo un luogo di reclusione, ma renda possibile anche uno spazio progettuale.

 

San Vittore aperto la domenica per i colloqui delle madri con i figli

 

Il nostro intervento cerca di lavorare su due piani: sul piano individuale per un processo evolutivo di consapevolezza personale (una madre detenuta che segue da tempo i nostri incontri "fa bene poter ripensarsi madre"), e su un piano più istituzionale e concreto.

Riferendoci a quest’ultimo oggi possiamo dire che, accanto a uno "Spazio neutro" che non riesce ad essere operativo per i genitori detenuti, si è concretizzata, per la disponibilità della direzione, la possibilità per le madri detenute di incontrare i figli la domenica con modalità e spazi più idonei e in ultimo l’utilizzo dell’arto 30, così a lungo auspicato, per permettere i colloqui con i figli all’esterno del carcere ( da settembre 2000 e solo per una madre detenuta per incontrare settimanalmente la figlia nell’ istituto dove è ospitata).

Il nostro lavoro ha comunque sempre accompagnato il processo auspicato di trasformazione legislativa e istituzionale che attenui e preveda alternative alla pena detentiva per le madri (Legge Finocchiaro, documento "Misure alternative" gruppo di lavoro Sez. femminile S. Vittore e Protocollo d’intesa Regione Lombardia/Ministero di Grazia e Giustizia).

Figli e genitori divisi dal carcere:

come ricucire un rapporto brutalmente spezzato

 

Ristretti Orizzonti, numero 4 – 2001

 

"Qui dentro viviamo come in un collegio a rovescio: noi siamo i figli rinchiusi, i nostri bambini sono come i genitori che ci vengono a trovare".

È stata una detenuta di San Vittore, durante il seminario che si è svolto l’8 giugno nel carcere milanese, a inventarsi questa strana immagine dei colloqui tra genitori e figli in carcere. E pare di vederli, questi bambini cresciuti troppo in fretta e questi padri e madri inchiodati invece a una condizione di bambini deresponsabilizzati, rinchiusi e controllati.

A Milano sì è parlato di quella che è una delle conseguenze più drammatiche della detenzione, la rottura delle relazioni famigliari, e poi delle strade difficili per tentarne una ricostruzione.

Le madri e i padri detenuti, che a San Vittore affrontano con coraggio questi temi in gruppi di lavoro con i volontari dell’Associazione Bambini senza sbarre (nata da una "costola" del "Gruppo carcere Mario Caminetti"), hanno avanzato con forza alcune "proposte minime" per migliorare la qualità dei colloqui coi figli:

gli agenti che accolgono i bambini ai colloqui non dovrebbero essere in divisa, perché, e l’ha spiegato bene una detenuta, "sei tu a dover spiegare a tuo figlio perché sei stata costretta a separarti da lui", e non la struttura carceraria con le sue regole e le sue divise;

gli orari delle telefonate dovrebbero essere più elastici, per permettere, a chi ha problemi di fuso orario (quante detenute sudamericane li hanno!) o ha i figli a scuola al pomeriggio, di riuscire ugualmente a parlare con loro;

le attese ai colloqui dovrebbero essere più brevi, è impensabile che un bambino aspetti anche due, tre ore per poi incontrare, male e in fretta, il padre o la madre;

le stanze di attesa e poi le stanze dei colloqui stessi dovrebbero essere "a misura di bambino" e non fredde e "respingenti" come sono ora.

A San Vittore poi una piccola conquista le donne già l’hanno ottenuta: si tratta dei colloqui della domenica, che avvengono ogni quindici giorni, per "ben" 2 ore, con la possibilità di portare anche del cibo preparato da loro.

Ma è stata Marzia Belloli, una detenuta ora in semilibertà, con una figlia di sei anni, a mettere in luce quelli che sono i temi più scottanti in discussione, a partire dal fatto che la questione donne detenute-figli non riguarda solo i 50-60 bambini che oggi sono in carcere, ma anche tutte quelle madri che hanno figli fuori e un’infinità di problemi irrisolti. Oggi, dopo che la legge per le detenute madri è stata faticosamente approvata, bisogna anche occuparsi della sua applicazione, e poi chiedere la realizzazione di quella struttura a custodia attenuata, già prevista dalla Regione, che aiuterebbe a risolvere i problemi delle detenute imputate, che non possono usufruire di questa legge, e forse delle straniere e delle nomadi; e poi bisogna anche avere una cura maggiore per quel momento tragico che è il distacco della madre dal bambino, che quando compie tre anni deve andarsene dal carcere e cancellare quella che è stata, bene o male, la sua casa nei suoi primi anni di vita.

 

"Il bambino non deve essere scaraventato in una realtà durissima come è quella del carcere, ma quanto meno paracadutato"

 

Lo ha detto Francesco Maisto, Sostituto Procuratore Generale alla Corte d’Appello di Milano, che ha delineato anche gli scenari possibili del rapporto genitori detenuti-figli: il primo, quello dei "bambini-detenuti", cioè delle mamme che hanno con sé in carcere i figli fino ai tre anni; il secondo, quello più diffuso, dei genitori detenuti senza i bambini, che possono entrare in carcere solo per i colloqui; il terzo, quello di quei detenuti che vivono una carenza assoluta di relazioni genitoriali, e che non vedono affatto i propri figli. Eppure, sostiene Maisto, anche se il problema è così complesso non abbiamo affatto bisogno di nuove leggi, le leggi ci sono, serve un diverso rapporto tra legge e prassi, e serve una visione meno istituzionale del problema dei bambini in carcere e il coraggio di affrontare invece i singoli casi. Interessanti anche le considerazioni di Maisto sui luoghi dei colloqui: "L’architettura dovrebbe avere un’etica, padri e madri non dovrebbero più incontrare i figli in spazi angusti". Ecco, oggi invece succede ancora esattamente così: i luoghi in cui i bambini incontrano i genitori sono spesso indecentemente privi di questa idea etica che dovrebbe impedire a chiunque di mettere un bambino a contatto con il padre o la madre in un ambiente desolante.

 

"Il bambino innocente e le vite segnate, in qualche modo sbagliate dei suoi genitori"

 

È lui, il bambino innocente, che abbiamo di fronte quando parliamo della relazione tra genitori-detenuti e figli, ha detto Alessandro Margara, Magistrato di Sorveglianza ed ex direttore del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. E possiamo decidere di utilizzare questa relazione o di negarla: si può scegliere infatti di privilegiare "l’innocenza del bambino" o invece di puntare al fatto che il genitore detenuto ha nel bambino un elemento che gli dà forza e prospettive per il futuro. Succede però che, quando si cerca di migliorare la relazione genitori detenuti-figli, la struttura, l’istituzione tende invece a intervenire per non "indebolire" l’efficienza della pena e della separazione che determina. E questo non capita purtroppo solo in carcere: anche nell’area penale esterna Margara vede ancora la preoccupazione di mantenere il peso sanzionatorio nelle misure alternative, e vede invece spesso dimenticato il fatto che la misura alternativa dovrebbe seguire il pieno rientro del soggetto nella sua vita di relazione. Allargare, per esempio, la semilibertà non solo al lavoro, ma anche alle relazioni con la famiglia non è stato facile, ma ora per fortuna il nuovo Regolamento penitenziario ha in qualche modo ratificato questa scelta, che aiuta a ripristinare il rapporto genitori-figli e a dare a questo rapporto un ruolo costruttivo nel percorso che la persona detenuta deve fare per reinserirsi.

 

Liberarsi dell’idea della famiglia perfetta

 

Solo accantonando questa idea, ha sostenuto Susanna Mantovani, psicopedagogista, è possibile poi parlare della relazione genitori detenuti-figli senza inseguire l’illusione di una relazione ideale, ma piuttosto aiutando a sostenere, a tenere in piedi questa relazione prima di tutto nella mente dei genitori: perché ci sono, per esempio, padri detenuti che a volte rinunciano a vedere i figli per le difficoltà che questo comporta, e invece coi padri si deve parlare di più, ricordando che la responsabilità, la "titolarità" dell’educazione dei figli è ancora nelle loro mani.

Ma questa relazione coi genitori detenuti va sostenuta anche nella mente dei bambini, dicendo loro la verità sulla condizione dei loro genitori, una verità che va detta senza brutalità, con delicatezza, ma va detta. E molte energie andrebbero dedicate al momento in cui padri e madri detenuti si reincontrano, a fine pena, con i figli, perché quando si torna a casa dal carcere non è così semplice ricostruire i legami spezzati dalla detenzione.

 

In Francia, una rete diffusa e organizzata che si occupa del rapporto dei bambini coi genitori incarcerati

 

In Francia, l’organizzazione Relais Enfants Parents promuove da anni un’attività di sostegno e accompagnamento del bambino durante la detenzione del genitore, e lo stesso lavoro di "accompagnamento" lo fa per il genitore detenuto, per aiutarlo a recuperare una identità genitoriale da ricostruire. Di questa esperienza ha parlato Alain Bouregba, presidente dell’organizzazione, affrontando in particolare il tema della separazione. Ci sono, nella vita delle persone, separazioni che creano ferite, traumi. La separazione è sopportabile quando mentalmente si riesce a conservare le immagini che riguardano la persona lontana, è traumatica quando il genitore sparisce, viene cancellato dalla vita del bambino, e quando il bambino non può più parlarne. Non dire dove si trova il genitore, perché si trova lì, per quanto tempo, vuol dire impedire al bambino di maturare e lasciarlo vivere in un universo immaginario molto più terrorizzante della realtà stessa. È per questo che il Relais Enfants Parents si occupa anche di sostenere i genitori detenuti nel momento in cui decidono di comunicare e spiegare ai figli il proprio stato di detenzione, e li aiuta a trovare le parole e i modi per farlo con meno dolore possibile.

 

Garantire ad ogni bambino la continuità dei rapporti con i propri genitori

 

Sono 800.000 in Europa i bambini figli di genitori detenuti, 43.000 sono italiani. Non si tratta quindi di un piccolo problema, eppure sono ancora molto piccole, molto limitate le realtà organizzate che si occupano in Italia di garantire ad ogni bambino la possibilità di salvare, non interrompere, non veder disintegrare i rapporti con i suoi genitori. Quando si è tentato, con le cosiddette stanze dell’affettività, di riportare l’attenzione sul problema degli affetti negati dal carcere, subito la volgarità, l’amore per le sensazioni "basse" di tanta stampa le ha trasformate in luoghi dove permettere al detenuto di fare sesso: torniamo invece a parlarne nei modi giusti, riportando l’attenzione sulla necessità che le persone detenute abbiano dei momenti di intimità, momenti nei quali la famiglia si ritrovi e abbia il tempo per condividere qualcosa che non sia lo squallore delle sale colloqui.

 

Ornella Favero

 

 

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